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La statua della porchetta, celebrazione del rituale tutto romano della magnata

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E’ spuntato dal nulla, a pochi passi dalle statue di due grandi poeti romani come Belli e Trilussa, all’ombra di quel colle dominato dalla statua di Giuseppe Garibaldi, un nuovo monumento che va aggiungersi alla schiera di busti, statue equestri e monumenti di santi, statisti e generali di ogni epoca che costellano le strade di Roma. In un momento storico in cui tante statue vengono abbattute e tante figure storiche messe in discussione, la capitale  ha elevato suo tradizionale rito della “magnata” agli onori più alti, scegliendo di immortalare sua maestà la porchetta, con un’insolita statua nel cuore di Trastevere, in piazza San Giovanni della Malva.

L’opera non è di quelle che possono essere definite concettuali e lascia ben poco di sottointeso: è la classica porchetta, tutta intera, con tanto di testa del malcapitato maiale, come quelle che si vedono nei camion bar lungo le strade consolari o di fronte agli stadi, con la differenza che invece di essere di carne è di pietra e invece che su un banco alimentare è su un piedistallo. A realizzarla è stato il giovane Amedeo Longo, studente presso la Rome University of Fine Arts (RUFA) che ha intitolato l’opera “Dal panino si va in piazza”, con l’obiettivo di celebrare il momento di convivialità di un pasto all’aria aperta. E’ ha scelto per questo un rione come Trastevere, che col rito della magnata ha un legame strettissimo. Non è un caso che già negli anni ’20, proprio qui, lo scultore Pietro Lombardi decise di celebrare il rione con una fontana fatta a forma di botte di vino affiancata da due caraffe.

Eppure, a essere puristi, non tutte le magnate sono uguali e la porchetta è in teoria più legata ai Castelli romani che a Trastevere, ed è più un cibo da gita fuoriporta che da pranzo da osteria trasteverina. Ma ciò che l’artista ha voluto celebrare è proprio la democraticità e la trasversalità di questo piatto, tanto da averlo definito il cibo degli opposti: “popolare e nobile, democratico e monarchico, papalino e infernale”. D’altronde il rito romano della magnata è proprio questo, qualcosa di trasversale, che viene compiuto dal nobile come dall’ultimo arrivato, magari gomito a gomito, tra piatti di pasta, carciofi alla romana e fogliette di vino. Si sta insieme, e se magna. Poco importa se si è politici, contadini, nobili, preti o prostitute: in quel momento si è tutti uguali.

Ma se in tutto il mondo si mangia, perché la magnata romana è così speciale? Forse fa parte del genius loci della capitale, tanto lunga è la lista di stornelli in cui spuntano abbacchi, galline, spaghetti e sagre dell’uva. E se questo rituale si è così radicato nel folklore capitolino, vuol dire che c’è qualcosa di più profondo di un semplice momento di convivialità. E’ forse l’eredità dei banchetti degli antichi romani, o forse perché il cibo, nella sua semplicità, è ciò che sa lasciare stupefatta anche una popolazione che, visti i pezzi di storia di cui è stata protagonista, non si scompone facilmente. Qualsiasi cosa sia, è un pezzo di Roma.

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