Mentre la Spagna requisisce la sanità privata, in Italia la Lombardia sogna la secessione sanitaria
La Spagna requisisce la sanità privata, la Lombardia sogna la secessione
In Spagna la sanità privata viene requisita da quella pubblica. In Italia le regioni del nord accarezzano l’idea di prendersi la rivincita contro lo stato centrale sul piano ospedaliero, sognano di farsi una loro “secessione sanitaria”, dopo il fallimento di quella politica. È questa la prima riflessione da fare mettendo insieme due notizie apparentemente separate che rimbalzano tra Italia e Spagna. Da una lato la nomina di Guido Bertolaso a supercommissario della Lombardia, con l’invito alle altre regioni del nord governate dal centrodestra a fare altrettanto (Liguria Piemonte e Veneto).
Dall’altro la mossa senza precedenti con cui la Spagna ha deciso di mettere la sanità privata al servizio del sistema sanitario nazionale. Lo ha annunciato il ministro della Salute iberico, Salvador Illa, presentatosi alla stampa insieme ai quattro ministri designati con lui per gestire l’emergenza Coronavirus. Da oggi in Spagna le aziende provviste di materiale sanitario e posti letto hanno 48 ore di tempo per informare l’esecutivo sulle loro dotazioni. Lo stato d’allerta in Spagna durerà più di 15 giorni, ha dichiarato il ministro dei Trasporti. I contagiati nel Paese sono 7.900, le vittime 295. Numeri che ormai inseguono quelli dell’Italia.
Coronavirus, Bergamo: così vengono curati i pazienti, stipati anche nei corridoi
Ma il riflesso opposto impone una riflessione: a parte la gaffe delle mascherine-scottex, e a parte i luttuosi bollettini mortuari del povero Borrelli, il governo Conte ha dimostrato di aver gestito molto bene l’emergenza: adesso “il modello italiano” viene copiato più o meno ovunque (con diversi correttivi Francia e Spagna lo hanno sostanzialmente implementato), e il sistema della solidarietà infra-regionale fa sì che quaranta pazienti lombardi siano – giustamente – curati nelle regioni che al momento hanno disponibilità per farlo. La domanda è: dove va costruito l’ospedale per ampliare i posti letto e la capienza delle terapie intensive, e chi lo deve gestire? Con quali criteri? Con quali fondi? Chi lo deve decidere e come?
Mi pare ovvio che questa decisione debba essere nazionale, così come il coordinamento e l’ottimizzazione di tutte le risorse economiche e non. Il secessionismo sanitario, l’ultima bandiera tardoleghista (dopo che la crisi ha obsoletizzato in un colpo solo tutte le tradizionali campagne securitarie anti-immigrati) non è solo una mossa politica, è una mossa profondamente sbagliata. In questa epidemia che mette fine all’ideologia dell’austerità con un semplice tratto di penna, che fa improvvisamente accendere tra i cittadini la rabbia per i tagli di migliaia di posti letto e della spesa sanitaria che tutti i governi (lo ha spiegato con molta efficacia su questo sito Marco Revelli) hanno stoltamente seguito in questi anni, il ritorno dell’interesse generale e dell’interesse pubblico sono il fenomeno più interessante prodotto dal Coronavirus sulle opinioni pubbliche.
Decidete, comprate, spendete, derogate a qualsiasi procedura di gara, usate l’interesse pubblico per mettere il privato al servizio dei cittadini come fanno in Spagna (e non il contrario). Siate veloci e siate efficienti, in nome della collettività, e non certo per regalare consensi a qualche nostalgico delle piccole patrie.
1. Bergamo, anestesista dell’ospedale: “Intubiamo 7 pazienti al giorno, reggeremo pochissimo” / 2. Gallera: “Abbiamo solo 15-20 posti liberi in terapia intensiva. Vicini al punto di non ritorno”
3. Stanno finendo i posti in terapia intensiva: tutti i dati della catastrofe sanitaria / 4. L’appello di una malata di leucemia: “Dovrei curarmi, ma le mascherine sono finite e al Policlinico di Milano nessuno mi risponde”