Nella società dell’immagine ci siamo innamorati dei podcast
Sul terzo numero di The Post Internazionale, l'opinione di Valerio Magrelli sul successo sempre più crescente dei podcast
Podcast, parola magica. Lo sviluppo della tecnologia – o, meglio, la ricezione dei suoi dispositivi – svela sempre qualcosa di strepitosamente sorprendente. Chi avrebbe detto, fino a pochi anni fa, che milioni di italiani sarebbero stati così desiderosi di ascoltare conferenze, lezioni, chiacchierate o discussioni registrate?
Siamo di fronte a qualcosa di simile a quanto accadde con l’avvento degli smartphone: come ha mostrato Maurizio Ferraris, un apparecchio nato per la voce si è rivelato poi il miglior veicolo per la trasmissione scritta. Di fronte alla possibilità di comunicare oralmente hanno prevalso, al contrario, il segno, il disegno, il tweet e l’emoticon. Ma torniamo ai podcast.
In evidente reazione al contesto superficiale e frivolo degli altri mass media (una specie di vero e proprio aerosol discorsivo) sempre più utenti sollecitano forme di approfondimento di nuovo genere. Qui non si tratta di leggere un saggio, bensì di farselo raccontare: non bisogna studiare un argomento, ma affidarsi a chi quell’argomento lo ha già assimilato e ha dunque l’abilità di trasmetterlo in maniera facilmente comprensibile. È appunto ciò che si chiama divulgazione.
Esiste tuttavia un’altra caratteristica che spiega il successo dei podcast. Come ha mostrato Lorenzo Cazzulani su Micromega, tipica del podcast è la sua grande adattabilità. Lo si può tenere in sottofondo mentre si cucina o si legge un articolo. In tal modo si alimenta la trionfante tendenza al multitasking. Citando la neuroscienziata cognitivista Maryanne Wolf, Cazzulani sottolinea come la nostra soglia d’attenzione sia drammaticamente precipitata a “8 secondi”, come ricorda il titolo di un libro pubblicato da Lisa Iotti per Il Saggiatore.
La tranquillità immersiva della lettura è ormai un oggetto sconosciuto: oggi saltiamo da un dispositivo all’altro per cercare di ottimizzare il poco tempo disponibile. In questo modo, termina l’articolo, finiamo per realizzare perfettamente quella «intossicazione da fretta» che già nel 1919 Paul Valéry indicava come l’inevitabile approdo della modernità. Ma c’è dell’altro: Giada Pari ha osservato, sempre su Micromega, che questa autentica rivoluzione, scoppiata durante la pandemia, ha a che vedere col fatto che la voce viene ancora percepita come vera, priva di filtri, in grado di metterci in relazione diretta con la nostra emotività.
Il potere del podcast risiederebbe insomma in questa capacità di instaurare un rapporto di fiducia e una rinnovata «propensione all’ascolto». Riassumendo: desiderio di divulgazione o di discussione, insidie del multitasking, prepotente ritorno dell’oralità. Come che sia, non c’è dubbio che questa nuova “strada auricolare” abbia sovvertito ogni facile previsione circa il tanto conclamato predominio dell’immagine nella società dello spettacolo.