La sinistra vince se fa scelte radicali (di G. Gambino)
La destra conta sulla forza brutale delle sue battaglie identitarie. La sinistra, invece, prevale solo quando suscita grandi passioni ideali
È stata la settimana delle liste, delle polemiche, dei grandi esclusi. Ma voglio provare a suggerirvi quattro chiavi di lettura di questo voto lontane dall’agenda apparente della politica.
1) La “Cosa Dem”. Per due anni la sinistra si è affidata a Giuseppe Conte. Il Pd aveva addirittura pubblicato un meme che recitava così: «Conte è il nostro candidato alla presidenza del Consiglio». Negli ultimi diciotto mesi – tuttavia – con l’arrivo di Letta i dem hanno fatto la stessa cosa con l’investitura di Draghi. Il fatto incredibile, se ci pensate, è che alla fine il Pd si presenta alle elezioni senza sostenere la candidatura di nessuno dei due. Ma c’è di peggio: questa composita “Cosa Dem” altro non è che un insieme di identità e interessi diversi, spesso confliggenti tra loro, che non trovano mai una vera sintesi: oltre le narrazioni di comodo, spesso i dirigenti sembrano legati da vincoli di mera utilità, quasi sempre accomunati da un imperativo: mantenere il potere.
2) Comitato Affari Privati. Ciò che oggi guida Matteo Renzi e Carlo Calenda nel loro tentativo di dare vita al cosiddetto “terzo polo” (in ogni sondaggio, per ora, è il quarto) è perseguire un’agenda – quella del premier Mario Draghi – che hanno fatto propria. Ma il bello è che, quando governavano loro, hanno fatto tutt’altro. Renzi è l’uomo del Jobs Act e propone un referendum contro il reddito di cittadinanza (che è stato rifinanziato dal governo Draghi). Mentre Calenda criticava la formazione dell’esecutivo dei Migliori, perché partecipato anche dagli «scappati di casa dei Cinque stelle nella sua maggioranza». Entrambi oggi dicono: «Non votate con la pancia, siate razionali, date un futuro al Paese!». Per gli uomini del Polo centrista, infatti, solo il loro voto è razionale e utile. Eppure non si ricordano grandi battaglie ideali del duo Renzi-Calenda, ad eccezione delle loro campagne filo-confindustriali, dal nucleare alle trivelle, passando (nel caso dell’ex premier) per i sauditi. Per carità, tutto legittimo, ma pur sempre di interessi si tratta.
3) Anche la destra in realtà sarebbe lacerata e divisa al suo interno. Su Europa, Atlantismo, lavoro, politiche sociali e liberismo (basta pensare alle differenze politiche tra la Meloni e Tajani, o alla rivalità personale tra la Meloni e Salvini). Ma la destra mette sempre da parte ogni dissidio in nome dell’utilità marginale e l’imperativo della vittoria. Grazie a queste accortezze – e alle divisioni altrui – il centrodestra rischia di ottenere una maggioranza blindata senza nemmeno bisogno del ventilato soccorso centrista di Calenda e Renzi.
4) Ciò che più di tutto fa riflettere è l’incapacità, da parte dei dirigenti della sinistra, di comprendere che riesce a vincere solo quando si presenta con un programma forte e radicale: Tsipras in Grecia, Zapatero in Spagna, Costa in Portogallo, Lula in Brasile, come già osservato da Gigi Riva. La destra conta sulla forza brutale delle sue battaglie identitarie. La sinistra, invece, prevale solo quando suscita grandi passioni ideali. La destra – per dire – batte su flat tax e immigrazione. La sinistra moderata tende a rifugiarsi nell’importante battaglia per i diritti civili, trascurando tuttavia quelli sociali che sono stati il sale della sua storia.