Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 04:20
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Opinioni

Il semipresidenzialismo di Meloni aumenta le disuguaglianze (di P. Maddalena)

Immagine di copertina
ANSA

La Meloni prende a modello il sistema francese. Dove le classi meno abbienti sono subalterne al potere economico e politico. L’ennesimo schiaffo ai principi della nostra Costituzione. Nel nome di un neoliberismo spinto

Quando si afferma di voler introdurre in Italia il semipresidenzialismo alla francese, si pensa, erroneamente, che si tratti soltanto della “nomina diretta del presidente della Repubblica” da parte dell’elettorato. Ma non è così.

Si tratta invece di un sostanziale cambio della forma di governo, che comporterebbe una modifica profonda della nostra Costituzione.

Occorre, dunque, indicare, sia pur sommariamente, qual è il principio logico fondante della Costituzione francese del 1958, modificata nel 2008, tenendo presenti gli adattamenti ai quali potremmo essere costretti.

I dati che maggiormente marcano le differenze tra la nostra Carta e quella francese e che potrebbero comportare modifiche costituzionali, a mio avviso, sono i seguenti: la Repubblica francese assicura soltanto «l’eguaglianza di fronte alla legge» (art. 1), non «l’eguaglianza economica e sociale» fra tutti i cittadini, sancita dall’art. 3, comma 2, della nostra Costituzione;

«la sovranità appartiene al popolo», ma questi «la esercita soltanto per mezzo dei suoi rappresentanti» e non esiste il nostro diritto fondamentale di «partecipazione all’organizzazione politica economica e sociale del Paese» (art. 3, comma 2, Cost.);

è previsto, su richiesta delle autorità, un particolare «referendum preventivo» (art. 3) per la promulgazione di certe leggi (art. 11), ma è escluso il nostro referendum abrogativo su iniziativa da parte di 500mila elettori (art. 71 Cost.);

il Parlamento vota le leggi (art. 24), ma queste (art. 34) possono riguardare soltanto le materie tassativamente elencate in Costituzione, mentre il loro contenuto consiste, essenzialmente, nel concedere, si dice «accordare», «i diritti e le garanzie per l’esercizio delle pubbliche libertà»;

l’«iniziativa delle leggi» è preclusa al popolo (art. 39), mentre da noi anche 50mila elettori possono proporre una legge (art. 71 Cost.); il «potere regolamentare» è pienamente attribuito al «primo ministro», e non al Governo (art. 21); il Consiglio costituzionale (sarebbe la nostra Corte costituzionale), che non ha magistrati nel suo seno, ha, essenzialmente, la funzione di emettere un «parere preventivo» sulla promulgazione delle cosiddette leggi organiche, ed è difficilmente praticabile il ricorso richiesto da chi sia parte in un giudizio (riforma del 2008).

Insomma, è una Costituzione che consente il “predominio” del potere economico e politico sulle classi subalterne. A tale tipo di predominio, la nostra Costituzione, purtroppo calpestata dai governi neoliberisti succedutisi all’assassinio di Aldo Moro, si oppone in modo insuperabile.

Essa pone al di sopra di tutto «il valore supremo della persona umana», di «ogni persona» (art. 3, comma 2, Cost.), e quindi «il valore supremo dell’eguaglianza economica e sociale», e considera i diritti fondamentali, non come «accordati» ai singoli dall’Autorità, ma come preesistenti alla Costituzione, che li «riconosce» e «garantisce».

Ed è proprio questo mirabile impianto costituzionale, equilibrato ed egualitario, che la Meloni vuol cambiare con il suo semipresidenzialismo alla francese. Ella, infatti, nel suo discorso di fine anno, ha affermato la «supremazia» delle «imprese private», le quali soltanto, e non lo Stato, «produrrebbero il lavoro», dimenticando, tra l’altro, che queste, oltre a essere spesso fagocitate dalla concorrenza straniera, considerano il lavoro una pura merce da pagare il meno possibile, indebolendo così la domanda, che è il motore dello sviluppo economico.

Insomma Ella insiste sulla “diseguaglianza economica e sociale”. Ma gli ultimi trent’anni della nostra storia economica hanno dimostrato che l’aver posto in mano privata la gestione dell’intera economia, cedendo ai privati, con le micidiali privatizzazioni, la consistente “proprietà pubblica demaniale” dell’intero popolo, ha prodotto una vera débâcle.

Occorre dunque tornare alla nostra “economia mista”, la quale era riuscita a garantire una sostanziale eguaglianza economica e sociale e un lavoro sufficiente ad assicurare a tutti una vita libera e dignitosa. Il vero salario minimo sancito in Costituzione (art. 36). Ma a questo non pensa di certo la neoliberista Meloni.

LEGGI ANCHE: Un’alternativa credibile alla destra è possibile (di G. Gambino)

Ti potrebbe interessare
Opinioni / La nuova Internazionale della Destra (di Giulio Gambino)
Opinioni / Il martirio di Gaza tra allarme genocidio e pulizia etnica (di F. Bascone)
Opinioni / Come ti smonto le 5 obiezioni allo Ius Scholae (di S. Arduini)
Ti potrebbe interessare
Opinioni / La nuova Internazionale della Destra (di Giulio Gambino)
Opinioni / Il martirio di Gaza tra allarme genocidio e pulizia etnica (di F. Bascone)
Opinioni / Come ti smonto le 5 obiezioni allo Ius Scholae (di S. Arduini)
Opinioni / Il paradosso di X e perché i social non sono interscambiabili (di S. Mentana)
Opinioni / Perché il nucleare è necessario (di Stefano Monti)
Opinioni / Ma il futuro è solo delle rinnovabili (di Gianni Silvestrini)
Opinioni / Le sfide del nuovo nucleare (di Giulio Gambino)
Opinioni / È ora di combattere contro i nazionalismi che mettono in pericolo l’Europa (di N. Zingaretti)
Opinioni / La grande sfida di Trump all’Unione europea (di Ignazio Marino)
Opinioni / “L’astensionismo aiuta il potere ma noi, oggi, non abbiamo alternativa”: lettera a TPI