Se l’astensione diventa strutturale, il voto resta una scelta in mano a pochi
C’è poco da fingersi sorpresi o stracciarsi le vesti: che questa stagione politica non sia caratterizzata da un’alta partecipazione alle urne è ormai cosa evidente da tempo. I dati delle regionali nel Lazio e in Lombardia sono gli ultimi a parlare chiaro, con una partecipazione ferma rispettivamente al 37,2 e al 41,7 per cento nelle regioni delle due maggiori città italiane.
Possiamo trovare tutte le attenuanti che vogliamo, dal clima solitamente pigro dei voti a poca distanza dalle politiche, con partiti ed elettori che sembrano sempre ancora affaticati dalla tornata appena passata, fino a un dibattito politico che sembra non aver infiammato più di tanto i cuori degli italiani, ma il dato parla chiaro e ci dice che anche in un voto di primo piano più della metà degli aventi diritto ha preferito rimanere a casa.
L’astensione è un diritto dei cittadini, e come tutte le scelte nel giorno del voto ha lo stesso peso a prescindere da quale sia la sua ragione, che si tratti di disinteresse, protesta o impedimento logistico. Lo stesso discorso vale per tutti i voti espressi, arrivino essi col massimo dell’entusiasmo o col famoso naso turato, ma le conseguenze di un’astensione che rischia di farsi endemica rischiano di avere conseguenze importanti sulle scelte dei cittadini.
Il punto è proprio quello appena descritto, cioè che in cabina elettorale tutti i voti espressi valgono allo stesso modo. Tuttavia, sono gli unici a essere calcolati e a influire sul computo generale dei voti attraverso cui eleggiamo i nostri rappresentanti. Al di là dell’indignazione e dei buoni propositi per arginare il fenomeno, l’astensione non influisce in alcuna maniera sull’elezione dei rappresentanti, se non aumentando il valore del voto di chi si reca alle urne e esprime una scelta valida. In altri termini, più persone si astengono, meno persone decidono, e il voto di questi ultimi aumenta di peso.
Un’astensione strutturalmente alta rischia quindi di trasformare il processo elettorale in qualcosa di esclusivo, in mano solo a una ristretta élite di elettori cui delegare le decisioni per milioni di persone che, per un motivo o per l’altro, decide di non partecipare al voto. Si potrebbero fare molte analisi su perché le persone scelgono, legittimamente, di non votare, e dovrebbe essere la politica stessa a passarle al vaglio, ma il rischio è che ciò non avvenga. Il fenomeno dell’astensione, infatti, da anni si è trasformato più in un alibi per lo sconfitto, così da provare ad alleviare il proprio insuccesso o ridimensionare il valore della vittoria dell’avversario: bisognerebbe invece provare a capire come mai tante persone decidano di non esercitare un diritto così importante come quello al voto, che magari tante volte sarà stato disatteso ma rimane l’unico che abbiamo per scegliere da chi essere rappresentati.