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Home » Opinioni

Scusarsi è un atto di leadership (e poi conviene)

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«Come risultato dell’ascolto tuo in particolare e di tutta la comunità calcistica in generale, ci stiamo ritirando dalla proposta di Super League. Abbiamo commesso un errore e ce ne scusiamo». Un cinguettio che passerà alla storia. È quello rilanciato dall’account Twitter dell’Arsenal lo scorso 20 aprile, a poche ore dall’indiscrezione, accompagnata dalle polemiche di ogni tipo, di un campionato dei migliori con l’idea della Superlega. Così ai fan connessi – oltre 17 milioni soltanto sulla piattaforma di microblogging – arrivano le scuse di uno dei club inglesi, che ha deciso di smarcarsi rispetto a questa operazione. Un cambio di passo epocale rispetto alla comunicazione tecnica o muscolare del passato. Ma tant’è. Il mondo è proprio cambiato e scusarsi oggi più che in passato conviene, anche oltre le buone intenzioni. Ma ci arriveremo nel corso del post. Non è un caso isolato. Anche il Liverpool, che era tra i dodici club fondatori, ha twittato, anche se in modo più neutro: «Il Liverpool Football Club può confermare che il suo coinvolgimento nei piani proposti per formare una Super League europea è stato interrotto», si è letto nel primo messaggio i terza persona rivolto ai 17,3 milioni di follower. Poche ore dopo arrivano poi le scuse di John W. Henry, l’azionista americano del Liverpool. In un altro messaggio, stavolta in video e trasmesso a mezzo social, Henry ammette il fallimento dell’iniziativa, soprattutto per il riscontro negativo dei tifosi: «In queste quarantotto ore vi abbiamo ascoltati, vi ho ascoltati. Sono solo io il responsabile dell’inutile negatività che si è creata negli ultimi giorni. Tutto ciò che è successo è qualcosa che non dimenticherò e dimostra il potere che i nostri fan hanno oggi e giustamente continueranno ad avere. Se c’è una cosa che questa orribile pandemia ha mostrato chiaramente è quanto siano cruciali i tifosi per il nostro sport e per ogni sport. Lo capiamo vedendo ancora oggi ogni stadio vuoto. È stato un anno incredibilmente difficile per tutti noi. È importante che la famiglia calcistica del Liverpool rimanga unita e impegnata in ciò che abbiamo costruito nel tempo con gesti di gentilezza e sostegno. Posso promettervi che farò tutto il possibile per promuovere questo approccio. Grazie per avermi ascoltato». Un messaggio empatico, caldo, concreto. Un richiamo ai e al “potere editoriale diffuso” rappresentato dai tifosi che ogni giorno scelgono il club calcistico.

Scuse fatte o mancate
Pochi giorni fa anche i vertici della società giapponese proprietaria della gigantesca nave portacontainer Ever Given, rimasta incagliata a fine marzo nel canale di Suez, causando il blocco parziale del traffico mercantile navale nel mondo, avevano scelto di scusarsi. Mentre sono passate alla storia del marketing le scuse mancate della United Airlines. Alcuni anni fa, a conclusione di un volo da Halifax in Canada a Omaha nel Nebraska, Dave Carroll del gruppo country Sons of Maxwells si è ritrovato la sua chitarra da migliaia di dollari senza più il manico. Ha capito quello che era successo perché ha osservato impotente dal finestrino dell’aereo la rottura durante lo sbarco dei bagagli da parte dei tecnici dell’hub aeroportuale. Il musicista canadese è rimasto basito dalla mancanza di ascolto della compagnia aerea rispetto alle lamentele, totalmente ignorate. Dopo infiniti reclami la compagnia si è rifiutata di rimborsarlo. Così Carroll ha deciso di incidere la sua rabbia in una canzone, messa poi online su YouTube: «United hai rotto la mia chitarra, l’hai rotta e dovresti aggiustarla, sei responsabile e devi ammetterlo, avrei dovuto volare con qualcun altro o andare in auto». Il pezzo è diventato presto una hit, arrivando ad essere raccontato dalla stampa di mezzo mondo, Guardian e CNN comprese. Con buona pace dei top manager della compagnia aerea poco inclini alle scuse.

Sana ossessione all’ascolto
composta da tifosi, fan, follower, clienti. D’altronde per l’Harvard Business Review viviamo nella nuova “era conversazionale”. Ed ecco perché le aziende, grandi e piccole, come anche i club sportivi da milioni di fan, devono imparare a gestire le relazioni, ammettendo i propri errori e arrivando persino a chiedere scusa quando sbagliano. «Oggi le organizzazioni guadagnano la fiducia venendoci in aiuto nei momenti più difficili. Non sono realtà perfette, ma il modo in cui fanno i conti con l’imperfezione è proprio la ragione per cui ci fidiamo di loro». È un concetto straordinario. Lo ha raccontato qualche settimana fa il guru del marketing mondiale Seth Godin, intervistato sulle pagine del Sole24Ore insieme a Fabio Grattagliano. Giampaolo Colletti ha riportato queste sue parole, ospitate nel suo nuovo libro “La pratica”, edito in Italia per Roi Edizioni, anche nella pagina di maggio di Millionaire. Quanta contemporaneità dietro quell’idea di imperfezione da condividere, oltre le vetrine, oltre i filtri social, oltre le apparenze. In fondo è quanto ha scritto anche Bryan Kramer, CEO di PureMatter e uno tra i più importanti influencer al mondo. Nel suo best seller “Human to Human” ha raccontato proprio questo: «Ascolta la conversazione che corre online, decidi di spogliarti degli abiti dell’azienda, mescolati con i clienti, comprendi ciò di cui hanno bisogno. Ascolta per davvero e mostrati per quello che sei: un po’ imperfetto, autoironico, umano».

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