“Il Pd festeggia per Toscana e Puglia, ma il merito è nostro”: l’arroganza delle Sardine ne rivela l’implosione
È il 2017, quarti di andata di Champions League tra Juventus e Barcellona: al minuto 8:24 l’arbitro Marciniak ferma il gioco perché la palla ha colpito il braccio sinistro di Lionel Messi ma il giocatore non è d’accordo e allora rivolge una smorfia interrogativa, tra l’incredulo e il risentito, al direttore di gara: “Che ho fatto?”. La partita finirà 3-0 per i padroni di casa, con Paulo Dybala nel ruolo di Messi e Messi, basito, in quello del meme.
L’immagine scelta dalle 6000 Sardine per commentare su Facebook gli esiti dell’ultima tornata elettorale è questa, quella della Pulce che si esibisce nell’ormai celeberrimo “gesto all’italiana”. In pratica un’autobiografia, si potrebbe pensare, con il Movimento – che a gennaio aveva contribuito pesantemente all’elezione di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna – che a queste regionali non ha toccato palla ma soprattutto ha perso il referendum, e non certo ai rigori, pur schierando quello che sembra essere l’attaccante più forte del mondo, vale a dire sua maestà la società civile.
Perché, inutile girarci attorno, questa volta la politica ha giocato nel ruolo di Santori e Santori nel ruolo di fantasma. Eppure, quella delle Sardine non è l’analisi di una sconfitta. Dal post pubblicato sui social network non solo non trapela nessuna autocritica ma addirittura i quattro ragazzi di Bologna si intestano la vittoria: “Hanno vinto – si legge – gli attivisti, le sardine, i militanti del Pd e i cittadini che in questi mesi difficili hanno scelto di esserci, di dire la loro, di rimboccarsi le maniche”.
Non solo. Il commento post-voto delle Sardine riportato da tutte le agenzie è stato questo: “Il Pd festeggia le vittorie in Toscana e in Puglia. Ma lo spumante versato dentro ai calici arriva dalla cantina delle Sardine”.
Ha vinto il Sì. Era prevedibile, dopo dieci anni di propaganda di delegittimazione dell’azione politica. Dieci anni di…
Posted by 6000 sardine on Tuesday, September 22, 2020
Come quegli juventini convinti di aver vinto 38 scudetti sul campo, dimenticando di mettere nel conto i due scudetti revocati dalla giustizia sportiva, allo stesso modo le Sardine rimangono 6000 “sul campo”, anche se ormai da tempo immemore non sono più in grado di riempire nemmeno una vasca da bagno. Tuttavia, prosegue il post di sopra, “hanno vinto perché non sono scaduti nel ‘sono tutti uguali’. Hanno vinto perché hanno saputo fare squadra”.
Proprio su quest’ultimo punto ci sarebbe non poco da indagare, visto che lo squadrone degli esordi in realtà si sta progressivamente svuotando: tra divorzi burrascosi (vedi la diaspora romana in tempi non sospetti), cessioni silenziose (che fine hanno fatto le sardine pugliesi?), addii eccellenti (mai sentito parlare del pasticcio di Milano?) e nessuna campagna acquisti (i rapporti con la sinistra, vagamente intesa, sembrano congelati), cosa rimane oggi delle 6000 Sardine a parte il marchio?
Freudianamente – si legga alla voce “lapsus” – la scelta di affidare proprio al volto di Messi la sintesi delle ultimissime vicende nazionali appare ancora una volta azzeccata: se oggi esiste una squadra completamente dipendente da un unico calciatore, quella squadra è sicuramente il Barça e se nell’ultima sessione di calciomercato c’è stato un fenomeno che ha fatto le bizze per tornare molto velocemente sui suoi passi si parla senz’altro dell’argentino. Contestualmente anche il movimento delle Sardine è sempre più rossoblù, ovvero bolognacentrico, e cioè autoreferenziale, mentre quel “vulcano di idee ed emozioni” di Santori, appena risorto dalla quarantena, si era preso come la Pulce “una pausa di riflessione” durata in definitiva un giorno (il 26 maggio “ci salutiamo per una legittima pausa di riposo”, il 28 maggio “le Sardine ci sono”).
La retromarcia del goleador blaugrana viene giustificata in questo modo: “Resto perché non avrei mai fatto causa al club della mia vita” – che gli avrebbe chiesto altrimenti 700 milioni. E pure nel caso di Santori non è stato tanto il club ittico a chiedergli di restare quanto lui ad imporre la sua leadership: “So di essere in minoranza”, scriveva infatti quattro mesi fa – prima, evidentemente, di tagliare fuori dal progetto quelli che, a detta sua, non si riconoscevano nei valori del movimento, a detta loro non si sentivano rappresentati da una struttura oligarchica “che stigmatizza il concetto stesso di assemblea”.
Un marchio, zero partecipazione dal basso, mancanza di democrazia interna, dove l’abbiamo già sentita questa? Ah sì, sembra la storia in piccolo della nascita dei Cinque Stelle, partiti manco a dirlo sempre da Bologna, con quella stessa idea iniziale di occupare le piazze per riempire il vuoto lasciato dalla politica.
Eppure a giudicare dalla lettura del voto del 20 e 21 settembre, proprio i Cinque Stelle appaiono oggi i veri grandi rivali delle Sardine: “Ha vinto il Sì. Era prevedibile, dopo dieci anni di propaganda di delegittimazione dell’azione politica. Dieci anni di Parlamento umiliato e declassato a ‘scatoletta di Tonno’, di politici raccontati come fannulloni e ladri, di avversità a tutto ciò che era pensiero e progetto politico”. Anche se, a dire il vero, sembrano esistere più punti di contatto di quanto si racconti tra l’attuale organizzazione interna del movimento delle Sardine e quello dei 5s delle origini.
Ad esempio tutti ricorderanno l’ormai storico fuorionda di Giovanni Favia, primo consigliere regionale grillino: “Da noi la democrazia non esiste”, “Quando parlo di assenza di democrazia parlo della mancanza di un network nazionale dove poter costruire collettivamente scelte e decisioni, comprese le inibizioni e le attribuzioni del logo”. A distanza di otto anni anche le Sardine sembrano implose sullo stesso identico punto: ci sono solo pagine ufficiali e quelle nate spontaneamente a fine 2019 non possono utilizzare il marchio, devono cambiare nome; chi avanza l’idea di condividere con la base un metodo organizzativo in realtà vuole contestare i fondatori; chi propone la convocazione di un’assemblea vuole trasformare il movimento in un partito politico; chi esprime perplessità sulla mancanza di condivisione nelle decisioni vuole solo comparire in tv.
Il risultato è che “prima c’erano 1.000 chat tra nazionali, paranazionali, regionali e provinciali, poi tutto si è perso, chiuso o gerarchizzato”. E così, dieci mesi dopo la prima grande manifestazione di piazza a Bologna, replicata in altre centinaia di piazze italiane, le Sardine non esistono più. Perdono la battaglia per il No al referendum costituzionale ma dicono di aver vinto nel senso che l’importante è partecipare, eppure quello che già da diversi mesi manca è proprio la partecipazione e il coinvolgimento delle tante persone che hanno trasformato un flash mob cittadino in un movimento nazionale.