Il lampo di sesso e speranza dei ManuelSkin nel grigiore di Sanremo
E poi, la terza serata del Festival, arrivarono Manuel Agnelli e i Maneskin, già ribattezzati “ManuelSkin”. Appaiono all’improvviso, quando pensi che il Festival quest’anno sia andato così e pazienza, alla prossima, quando pensi che le famose buone intenzioni di Bugo dovrebbero essere quelle di mettersi a fare il fabbro, quando leggi che forse la tua regione diventerà zona rossa e il futuro è un grigio stabile.
Appaiono, in questi tempi bui, come un lampo di sesso e speranza. Damiano, 22 anni d’età e 100 di peccati, le dita tempestate di anelli, lo smalto, il kajal, il corsetto rosa e l’orecchino pendente. Damiano che si mangia il palco e ogni idea di pudicizia.
Lo stylist di Damiano che non lascia nulla al caso eppure sembra tutto un caso, perché Damiano è quello che indossa, quello che canta, è lui che veste le cose, non le cose a vestire lui. Damiano che è l’ultimo baluardo di futuro in questo Sanremo stanco.
Damiano che guarda negli occhi Manuel, mentore-maestro-amante, non importa, non importa più cosa è vero e cosa ci fanno credere quei due. E Manuel, appunto, camicia aperta, gonna da samurai rock, capello ostinatamente lungo, la sensualità del precettore che divide il palco con l’allievo. Col suo capolavoro.
Manuel che accoglie Damiano e lo incorona e si incorona, Manuel che fissa negli occhi la giovinezza e la sfida, Damiano che fissa negli occhi la saggezza e la sfida. E infine noi, ubriachi, ubriache da tanta sensualità, da questo gioco raffinato di sottintesi, di barbe bianche e ombretti sfumati, di pirati e samurai, di musica divina, di peccati suggeriti, mentre tutto, intorno, viene perdonato. Perfino Bugo. Manuel, Damiano. Amarli è una fatica.
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