Salvini si è suicidato politicamente (di Giampaolo Pansa)
Quattro errori commessi dal leader leghista, che così ha finito per sconfiggersi da solo
Adesso che Matteo Salvini ha incontrato il suo martedì nero c’è da scommettere che comincerà un accanito dibattito sulle ragioni della sua sconfitta. Sarà una accesa riflessione politologica su un tema che non è possibile evitare: chi o che cosa ha provocato la sconfitta del Capitano della Lega, il Dittatore che ho descritto nel mio libro più recente, pubblicato in giugno dalla Rizzoli? Se il dibattito ci sarà, avverto le teste d’uovo della politologia nazionale che sarà una fatica inutile. Non esistono misteri dietro il martedì nero di Salvini. Per il semplice motivo che il Duce leghista si è sconfitto da solo, senza l’intervento di nessun avversario.
Insomma non siamo di fronte a un delitto, bensì a un suicidio dove la vittima diventa il boia di se stessa. E adesso cercherò di spiegare che cosa è accaduto nell’esistenza di un leader politico che si era convinto di essere diventato il padrone d’Italia. Ma non è stato tanto astuto da evitare il proprio suicidio.
Errore numero 1. Salvini ha sbagliato nel credere che rispondesse a verità un vecchio detto popolare che da bambino sentivo ripetere di continuo dalla mia nonna paterna, Caterina Zaffiro vedova Pansa. Il motto recitava: “Il più forte non ha mai torto”. Ossia chi è potente può permettersi anche di sbagliare poiché non trova nessuno che gli rinfacci l’errore. Il capitano leghista si era convinto di essere il politico senza rivali in Italia. E questa presunzione si è rivelata il tallone d’Achille della sua carriera. Che da martedì non sarà più la stessa.
Errore numero 2. Chi ha seguito la lunga diretta televisiva della seduta a Palazzo Madama, si è subito accorto che il capo leghista si comportava come se fosse nel soggiorno di casa sua o al bar del Papeete dove ha trascorso le proprie vacanze. Aveva l’aria soddisfatta del gatto che ha mangiato il topo. E si è concesso le piccole cose che allietano la vita privata degli scapoli che, per il momento, non hanno donne da corteggiare. Salvini si è persino fatto portare da un commesso del Senato un tazzone di caffè e si è concentrato nell’operazione di raffreddarlo per poterlo bere senza scottarsi. Insomma, il Dittatore ha consumato la propria merenda, mentre accanto a lui uno spietato Giuseppe Conte spiegava come avrebbe dovuto essere il governo di una signora nei guai, la Repubblica italiana.
Errore numero 3. Una volta consumato il bricco di caffè, Salvini si è concesso di baciare il crocefisso. Il vecchio Pansa non ha mai creduto alla conversione di un collaudato sottaniere come il dittatore della Lega. Sappiamo tutti che le donne gli sono sempre piaciute. E non gli sono mai mancate le mogli e le amanti. La lunga estate del Papeete lo ha mostrato ogni giorno mezzo nudo e circondato da ragazzacce che non sembravano per niente allieve di un istituto di suore salesiane. Il Dittatore le ha anche obbligate a prove di canto impensabili. A un gruppo di queste fanciulle ha persino ordinato di cantare l’Inno di Mameli, un inno sacro per chi crede ancora che l’Italia sia una nazione con un briciolo d’identità elegante. E le ragazze, arruolate da Salvini hanno fatto quello che gli era stato richiesto. Erano anche loro seminude, come il Capitano. Il risultato è inutile descriverlo. Abbiamo assistito a una versione sexy di “Fratelli d’Italia”, degna di uno dei bordelli che la deputata socialista Lina Merlin si era illusa di aver abolito.
Prima di impadronirsi del Papeete, Salvini aveva svelato sino in fondo di essere diventato un cattolico integrale in piazza Duomo a Milano durante le chiusura della campagna elettorale per le europee. E qui siamo all’errore numero 4. Compiuto esibendo a tutte le telecamere i simboli della sua conversione: il crocefisso e un ritratto della Madonna in formato tascabile. Ha tentato di mostrarli anche all’aula del Senato. Ma è stato bloccato subito dal premier Conte che gli ha ricordato una regola inflessibile: a Palazzo Madama è vietato esporre simboli politici o religiosi. Anch’io sono cattolico, sia pure non praticante. E immagino il fastidio addolorato di tanti praticanti che votano per la Lega. Domando a me stesso per quale motivo non si facciano sentire, mandando a quel paese un boss politico che si prende gioco della loro fede religiosa. Se non lo faranno, avranno un’unica sorte: quella di finire non in purgatorio, ma in girone dell’inferno destinato a chi non rispetta né la Madonna né il Gesù inchiodato alla croce.
Mi fermo qui nell’elencazione degli errori. Sperando di imbattermi nell’unica cosa giusta che Salvini potrebbe fare: la rinuncia a diventare il presidente del Consiglio. Non credo che il dittatore leghista sia tanto saggio da compiere questo passo. Ma per nostra fortuna esistono ancora in Italia dei galantuomini in grado di obbligarlo a questa rinuncia. Il primo si chiama Sergio Mattarella e il secondo Giuseppe Conte.