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Salvini in caduta libera sui social: i numeri che certificano il “crollo” della Bestia

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Dopo l'avvento sulla scena politica delle Sardine, il leader della Lega ha perso le piazze e conquistato followers. Ma a seguito della sconfitta in Emilia Romagna, Salvini ha fatto un balzo indietro fino a toccare un livello di coinvolgimento degli utenti mai così basso da anni

Salvini in caduta libera sui social: i numeri che certificano il “crollo” della Bestia

C’è uno spettro che si aggira per i social. È il fantasma di Matteo Salvini. E non è un modo di dire: nelle ultime due settimane il leader della Lega è letteralmente sparito dalla home di milioni di italiani. Una percezione diffusa ampiamente confermata dai numeri: impietosi. Vero è che il mondo dei social network è tradizionalmente liquido e si muove alla velocità con cui Morgan cambia umore o il testo di una canzone. Ma, se tre indizi fanno una prova, abbiamo sufficienti elementi per poter parlare di crisi aperta nella macchina della comunicazione apparentemente infallibile della Lega, al secolo “La Bestia“.

Per capire da vicino cos’è accaduto, è necessario fare un balzo all’indietro al 13 novembre 2019. È il giorno prima del lancio ufficiale della campagna elettorale di Lucia Borgonzoni in Emilia-Romagna. La Lega sta organizzando la grande serata del Paladozza che, nelle intenzioni di Morisi & C., avrebbe dovuto essere la location perfetta dello sbarco dell’alieno Salvini nella terra rossa per eccellenza. Una sorta di prova generale di una cavalcata trionfale che avrebbe dovuto cambiare la storia di questa regione e, a stretto giro, dell’Italia. In quel momento esatto, la pagina Facebook personale di Matteo Salvini viaggia saldamente attorno ai 10 milioni di interazioni a settimana, con una media di 120 post prodotti ogni sette giorni e 3,8 milioni di followers netti sulla pagina (vale a dire di seguaci che hanno scelto di mettere il like). Numeri che ne fanno la pagina personale numero uno in Italia sotto tutti i parametri, staccando di più del doppio i diretti inseguitori.

Il giorno successivo, senza alcun reale preavviso, si abbatte come un asteroide sulla scena italiana un nuovo movimento civile e di piazza che, in una notte di novembre apparentemente come altre, riempie piazza Maggiore, a Bologna, e cambia la storia non solo delle elezioni regionali ma della storia politica recente di questo Paese. Si fanno chiamare Sardine e, in meno di 24 ore, diventano il nemico numero di Salvini. Si può dire senza tema di smentita che c’è un prima e c’è un dopo le Sardine, il cui avvento provoca sostanzialmente due effetti conseguenti e per certi versi in contraddizione.

Il primo: Salvini perde le piazze. O, per essere più precisi, non le perde: scompare proprio. Dall’ultima adunata di popolo di piazza San Giovanni a Roma, il 19 ottobre scorso, e con ancora più evidenza dalla nascita delle Sardine, il numero uno della Lega evita le piazze come se dei cecchini sparassero a vista dai tetti e si rifugia puntualmente in palasport, palestre, tendoni, bar, ristoranti, viuzze laterali, sedi di partito, ovunque ci sia un luogo “bonificato” dal rischio flop e nessun rischio di confronto con le sardine, che da Bologna in poi nuotano in mare aperto inondando l’Emilia-Romagna e l’Italia con ondate oceaniche che a sinistra non si vedevano da tre lustri abbondanti.

 

Il secondo, che altro non è che un effetto del primo: la crescita esponenziale della “Bestia” sui social, su ogni piattaforma, sull’intera galassia di pagine più o meno direttamente legate a Lega Salvini Premier, e in particolare sulla propria pagina Facebook, con un boom che ha pochi precedenti nella storia del social network inventato da Mark Zuckerberg. Nel giro di appena due mesi, le interazioni settimanali passano dai 10 milioni di novembre ai quasi 14 milioni di fine gennaio, in coincidenza con l’apice della campagna elettorale in Emilia-Romagna e Calabria, mentre il numero complessivo di follower cresce dai 3,8 milioni agli attuali 4,1, con un aumento netto addirittura del +7,5 per cento: una performance sbalorditiva per una pagina che era già la più seguita dell’intero social network e i cui margini di crescita erano, almeno in apparenza, pressoché nulli.

Anche il numero complessivo di post e video è cresciuto a dismisura, superando abbondantemente quota 200 settimanali, ma senza giustificare da soli un progresso così repentino. Quanto abbiano inciso su questo boom il “doping” digitale di profili fake e bot acquistati in batteria è difficile tanto da affermare quanto da dimostrare. Limitandoci ad osservare i numeri nudi e crudi, non è difficile ravvisare come il successo delle “sardinate” abbia provocato e, in un certo senso, alimentato una risposta social prepotente della “Bestia”, che ha trovato nel movimento di Mattia Santori al tempo stesso un avversario e uno sparring partner abbastanza forte e credibile da poter essere utilizzato di sponda e in contrasto. D’altra parte, la comunicazione leghista è stata per anni un modello inarrivabile nell’uso dell’influenza dell’avversario come arma per la propria propaganda. Basti pensare a quando i personaggi di riferimento della sinistra – da Saviano a Renzi, alla Boldrini – venivano mostrati in serie, a ridosso delle grandi manifestazioni sovraniste, con tanto di foto e quattro parole diventate un mantra: “Lui (o lei) non ci sarà”.

Fermi tutti, so cosa state pensando. “Ma questo non era un articolo sul crollo social della Lega?” E ancora: “Ma quale crollo? Dopo un boom del genere, quello di oggi è un normale calo fisiologico.” Le risposte a questi dubbi, più che legittimi, sono rispettivamente: Sì e No. Più esattamente: Sì, ora arriviamo al crollo. E No: non si tratta di un semplice calo fisiologico.

Sono trascorse più di due settimane dalle elezioni regionali che hanno visto Bonaccini sconfiggere nettamente Lucia Borgonzoni, fermando un filotto di dieci vittorie (considerando anche la Calabria) che avrebbe consegnato, di fatto, a Salvini non solo le chiavi della regione rossa per eccellenza ma dell’Italia intera. L’impatto emotivo, prima ancora che numerico e politico, di quella notte – ora lo sappiamo, numeri alla mano – è stato devastante. Per la prima volta quel treno in corsa lanciato verso la conquista del Paese si è fermato bruscamente in stazione, con il doppio effetto di rafforzare gli avversari interni (su tutti Giorgia Meloni e i malpancisti dentro il partito sin qui rimasti silenti) e di mettere a nudo, per la seconda volta dopo il colpo di sole del Papeete, tutte le fragilità della Bestia sul terreno a lei caro: la comunicazione social.

 

A certificarlo in modo impietoso ci sono gli insight della F più famosa del mondo: nell’ultima settimana le interazioni complessive di Matteo Salvini si sono fermate a 6,6 milioni, mentre sia il numero di follower, sia il numero di post è rimasto invariato. Un risultato che, se gli permette di mantenere il primato, resta un dato straordinariamente deludente per una pagina da oltre 4 milioni di follower. Per spiegarlo ancora meglio: dopo la sconfitta in Emilia-Romagna, Salvini non è “fisiologicamente” tornato ai 10 milioni di engagement pre-elettorale, ma ha fatto un balzo indietro addirittura di quasi 8 milioni di interazioni (per un clamoroso -60 per cento), fino a toccare un livello di coinvolgimento degli utenti mai così basso da anni.

Altro che calo fisiologico: siamo di fronte a una Waterloo social, che in casa Lega stanno vivendo in queste ore con un clima di crescente apprensione.

Già domani, mercoledì 12 febbraio, con il voto sulla Gregoretti e l’atteso intervento del leader della Lega in Senato, la pagina è destinata a subire un inevitabile impatto positivo in termini di reazioni. Ma questi numeri rappresentano un campanello d’allarme che nessuno si può permettere di sottovalutare, e dimostra per la prima volta in maniera plastica una tesi con cui chiunque si occupi di comunicazione politica social prima o poi deve fare i conti: che la propaganda virtuale funziona nella misura in cui funge da grancassa di un clima di consenso esistente o quantomeno percepibile nella società reale, di cui post e tweet sono uno straordinario propellente virtuale. Ma, nel momento in cui la macchina va a sbattere, viene sconfitta alle urne (non accadeva dal 2016) e si dimostra vulnerabile, Facebook e Instragram, da soli, non bastano per evitare lo scontro, ma, anzi, per certi versi, rendono ancora più manifesta la difficoltà del momento, come la linea di mercurio su un termometro.

Chi si illude che basti questo per sconfiggere Salvini resterà deluso, anche perché il Pd e la sinistra in generale, seppur in minima crescita, sui social gioca ancora due leghe più in basso, ma certo qualche crepa comincia timidamente a intravedersi. Per la prima volta la Bestia è nuda. E francamente non è un bel vedere.

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