Il “capolavoro” di Salvini è completo: con la sua mossa folle ha fatto alleare PD e M5S anche alle regionali
Il capolavoro è completo. Nonostante l’ex ministro dell’inferno Matteo Salvini da Pontida abbia insistito nella sua lettura (falsa e strumentale) dei fatti sostenendo di essere stato fatto fuori da chissà quali pericolosi potentati internazionali (lui che è riuscito a sfiduciarsi da solo) e nonostante insista nell’attaccare gli ex alleati di governo del Movimento 5 Stelle a cui aveva offerto addirittura la poltrona da presidente del consiglio fino a un minuto prima delle consultazioni, oggi il capitano leghista assiste a un ulteriore passo verso l’invisibilità con l’ipotesi di accordo tra Partito Democratico e grillini alle prossime elezioni regionali umbre.
È il normale contrappasso di un uomo che ubriacato dal desiderio di pieni poteri ha pensato di essere invincibile e superiore ai costituzionali meccanismi parlamentari della nostra Repubblica e che ora raccoglie i frutti amari di una mossa politicamente inconsulta se non addirittura cretina.
Certo Salvini potrà insistere nel dire di essersi messo in un cul de sac come l’immagine di un grandioso condottiero contro tutto e contro tutti ma (forunatamente) la politica è molto di più di qualche diretta via Facebook o di un lungo tour tra le braccia di piazze amiche.
La politica (e se ne sono accorti anche dalle parti del Movimento 5 Stelle) è un gioco di relazioni e di mediazioni che richiede tutta la cura possibile nel preservare le proprie idee cercando di avere i numeri per governare.
Non è politica l’aizzare il popolo, non è politica durevole il vendersi come unica soluzione ai problemi e non è più tempo di salvatori della patria che si atteggiano più a influencer sui social piuttosto che in tavoli istituzionali.
Il consenso su cui sta lavorando Salvini è qualcosa che ha molto a che fare con la popolarità ma pochissimo con la politica (soprattutto di governo) e con la costruzione di una credibilità nazionale e internazionale che sta alla base di un reale leaderismo.
Quando dalla spiaggia del Papeete il segretario leghista ha affossato il governo di cui faceva parte era convinto di riuscire a condizionare la narrazione degli eventi a proprio piacimento, come si è illuso di sapere fare in questi ultimi quindici mesi senza sapere che la complessità delle diverse esigenze non riesce a essere rinchiusa in qualche slogan ripetuto ad oltranza.
E infatti alla fine Salvini si ritrova alla casella di partenza sparando (a salve) la sua solita retorica sugli sbarchi, sull’abbassamento delle tasse (che è una costante di tutti i populisti) e sulla rabbia come produttrice di consenso. Niente di più.