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Ci siamo assuefatti a Salvini: la sua violenza non ci indigna neanche più

Immagine di copertina
Matteo Salvini, leader della Lega

Dopo la bocciatura del referendum sulla legge elettorale, il leader della Lega ha usato parole gravissime contro la Corte costituzionale. Ma nessuno si è scandalizzato. Perché ormai questa violenza verbale fa parte della nostra normalità

Salvini contro la Corte costituzionale: ci siamo assuefatti alla sua violenza

Ieri sono accaduti due fatti. Il primo normale, anzi, addirittura sano, all’interno di una democrazia: la Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sulla legge elettorale proposto dalla Lega. Il secondo anomalo, pericoloso, a tratti persino eversivo: la reazione scomposta, a tratti violenta, di Matteo Salvini. Eppure, per una stortura endemica e radicata ormai a tutti i livelli nel nostro Paese, nessuno si è particolarmente scandalizzato o indignato per le parole del leader della Lega, anzi le considera una reazione comprensibile, e persino moderata, a un attacco della “casta politico-giudiziaria” nei confronti del popolo sovrano. O, meglio, sovranista.

Ma andiamo con ordine. Nel pomeriggio di ieri, la Consulta presieduta da Marta Cartabia, dopo otto ore di Camera di consiglio, si pronuncia comunicando la bocciatura della proposta della Lega che mirava a cancellare la parte proporzionale dell’attuale sistema di voto. Le motivazioni sono inequivocabili: “l’eccessiva manipolabilità del quesito referendario”. Poche parole tanto chiare quanto attese e che, in un Paese normale, possono essere commentate, persino criticate dalla politica. Dopodiché si prende atto e si torna a lavorare a una proposta migliorativa e che accolga le indicazioni della Consulta.

Ma questo non è un Paese normale. E così, non passano neanche venti minuti dal pronunciamento, che il numero uno della Lega, con “Bestia” al seguito, scatena un fuoco di fila organizzato che mette nel mirino non tanto la decisione e neppure le motivazioni ma la Corte costituzionale stessa, giudicata ora “casta”, ora “sacca di resistenza del vecchio sistema che si difende”, paventando addirittura un diretto coinvolgimento nella decisione da parte di Pd e 5 Stelle che “sono e restano attaccati alle poltrone”.

Eppure, al di là di qualche titolo, ne avete sentito parlare? Per quanto tempo l’argomento è stato trending topic? Dieci minuti? La verità è che siamo talmente assuefatti a considerare un attacco di una tale violenza come la normalità, da non renderci nemmeno conto che si tratta di un atto di una gravità politica e istituzionale inaudita, al limite dell’eversione.

Stiamo parlando del leader del primo partito italiano e probabile prossimo presidente del Consiglio che piccona senza mezzi termini, e senza mai entrare nel merito della questione (non ne avrebbe la competenza) la massima autorità giuridica di questo Paese. In pochi secondi Salvini ha stracciato secoli di separazione dei poteri. Ma lo ha potuto fare perché era perfettamente consapevole che nessuno avrebbe alzato un sopracciglio, come se quelle manganellate tutto sommato rientrassero nel mazzo di carte in mano a un leader politico di oggi.

D’altra parte, il leader della Lega non si è inventato nulla. Si è limitato a percorrere un sentiero che, prima di lui, era stato battuto da altri. Quando, il 4 dicembre 2013, il Porcellum fu dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale in merito al premio di maggioranza di coalizione, Silvio Berlusconi definì la Consulta letteralmente “il braccio giudiziario della sinistra” che votava sostanzialmente su richiesta del Partito democratico, con il gentile tramite di Magistratura democratica. E anche allora non assistemmo a particolari levate di scudi.

Prima ancora, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, detto non a caso “il picconatore” – uno che ha spesso sostenuto che l’Italia stava meglio ai tempi di De Gasperi, quando non esisteva la Corte costituzionale – era arrivato a chiedere le dimissioni dell’allora presidente della Consulta Ettore Gallo per un appello ai valori calpestati della Restistenza. Correva l’anno 1991.

Ma nel caso di Salvini, stiamo assistendo a un’evoluzione ulteriore del secolare scontro tra potere politico e giudiziario e che va oltre anche il pronunciamento di ieri della Consulta. La Corte costituzionale non è più mera espressione della sinistra, dei comunisti o dei rossi ma viene sbandierata come il simbolo perfetto di un presunto complotto del sistema e della casta incarnata dal Partito democratico e – vien quasi da sorridere – dal Movimento 5 Stelle, che avrebbero stretto un patto segreto con l’unico scopo di impedire a Matteo Salvini, alla Lega e, indirettamente, al popolo di governare questo Paese. E l’aspetto più drammatico non è neppure che qualcuno lo teorizzi – quella si chiama propaganda – ma che ci siano milioni di persone disposte a prenderlo sul serio.

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