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Anche la Bestia sbaglia: la gaffe sulla Nutella è solo l’ultimo di una lunga serie di errori per Salvini

Immagine di copertina
Matteo Salvini, leader della Lega, ha attaccato la Nutella perché viene prodotta con nocciole provenienti dalla Turchia. Credit: Facebook

Sull'attacco alla Ferrero gli "esperti" della comunicazione anti-sovranista sono riusciti ad attribuire imperscrutabili qualità messianiche, prima ancora che mediatiche. E invece è stata solo l'ennesima dimostrazione che anche la macchia comunicativa leghista ha delle falle

Anche Salvini sbaglia in comunicazione: la gaffe sulla Nutella lo dimostra

Togliamoci subito il dente: Matteo Salvini non è un genio della comunicazione. Anzi, da un punto di vista squisitamente tecnico, assomiglia più a una totale sciagura. Semplice? No, tutt’altro. Altrimenti come spiegare il boom di consensi che lo ha portato in pochi anni a raggiungere e superare stabilmente il 30 per cento, con punte di quasi il 40?

La verità è che per capire il fenomeno Salvini mancano due fattori cruciali. Il primo: la divaricazione estrema tra la comunicazione strategica così come l’abbiamo studiata nei manuali e la cosiddetta “comunicazione reale”, ovvero quell’ampio, complesso e non del tutto codificato sistema di regole attraverso cui funziona la propaganda politica e social attuale.

Qui, in questo specifico ambito, il “brand” Salvini – non Salvini – vale più di qualunque altro. Più degli avversari politici. Più della Coca Cola. Più della Nutella. O quasi. Ma ci torneremo.

Due: la cosa più interessante da osservare è che l’ingrediente principale della comunicazione di Matteo Salvini non è affatto Salvini stesso, come qualcuno potrebbe credere. Salvini è semplicemente il marchio. L’etichetta. Il certificato di qualità (si fa per dire). Ma, se il copyright Salvini esiste, è solo grazie a una enorme galassia di comunicatori, pagine, gruppi, lobby digitali, influencer, profili più o meno bot, più o meno fake, professionisti e semplici volontari che chiamiamo confidenzialmente la “Bestia”.

Nel corso di questi mesi, siamo stati abituati ad attribuire alla Bestia un potere e una capacità paranormali, a tratti semi-divini, per via di quell’atavico vizio della sinistra italiana di ingigantire la forza e la pericolosità dell’avversario, con l’unico risultato di diventarne subalterni dal punto di vista comunicativo. È accaduto per quasi un ventennio con Berlusconi e il copione si ripete, identico, oggi con Salvini.

In realtà, basta un occhio appena più distaccato e obbiettivo per rendersi conto che la Bestia è una macchina tutt’altro che perfetta. E il suo indiscutibile successo non si basa certo sull’esattezza del messaggio, sulla precisione dei contenuti o sull’assenza di pecche ed errori (al contrario, la Bestia è un distributore automatico di gaffe e topiche al limite del grottesco, più o meno gravi, più o meno volute).

No, l’unico vero segreto della forza comunicativa del salvinismo (o, se non suonasse cacofonico, del “morisismo”) è una parola che tra i nuovi guru del web marketing è diventato ormai un mantra: l’incessantismo. Tradotto? Far uscire un numero di contenuti talmente enorme da arrivare a una massa esponenziale di utenti finali, attraverso un messaggio ripetuto talmente tante volte da essere introiettato nella mente – e soprattutto nella pancia – degli elettori.

In parole povere: è la quantità preferita alla qualità. E funziona non perché sia chirurgica e impeccabile, ma semmai per la ragione esattamente opposta: perché è bulimica, caotica, grossolana, ripetitiva, esasperata, dozzinale, spesso contraddittoria. Proprio come coloro a cui si rivolge. È una sorta di caso studio nel quale il comunicatore, il messaggio e il target finale coincidono perfettamente. Fino a diventare la stessa cosa.

I casi si sprecano, senza necessità di scomodare il Salvini versione padana. Solo negli ultimi mesi Matteo Salvini o la galassia a lui riconducibile ha commesso una tale quantità di errori da far sembrare l’ex ministro Toninelli un misto tra Churchill e Adenauer. Solo per citare i casi più celebri: le scalinate di Rocky a Washington, il colpo di sole del Papeete e l’auto-eliminazione dal governo, gli ospedali chiusi di notte in Emilia Romagna, senza contare le contraddizioni enormi in politica estera tra Israele, Trump e Putin, i repentini cambi di strategia sull’Euro e sull’Europa, la giravolta carpiata sul MES, fino a quella che, nell’immaginario collettivo, resterà per sempre la gaffe più imperdonabile per un populista italiano: quella sulle nocciole turche e la Nutella. Perché potete toccare tutto agli italiani: risparmi, lavoro, pensioni, Gianni Morandi. Ma non toccategli la Nutella.

La dichiarazione che Salvini si è lasciato scappare a Ravenna è talmente nota da non aver bisogno neppure di essere ripetuta. Ciò su cui, invece, ha senso soffermarsi è l’interpretazione che ne ha dato l’opinione pubblica, in particolare a sinistra. Che, sostanzialmente, si è spaccata in due: a) Quelli che hanno perculato Salvini. b) Quelli che hanno perculato quelli che perculavano Salvini perché – questa è la tesi – “così facendo, non facevano altro che fare un favore a Salvini, pompando a dismisura il suo nome sugli algoritmi social”.

Più ancora nel dettaglio, diversi esperti di comunicazione web e social ci hanno tenuto a spiegarci che la Bestia, preoccupata dal calo di interazioni di Salvini per l’esplosione improvvisa delle sardine, abbia scelto la Nutella per innescare una polemica destinata a infiammare i social, associare il suo nome al top brand italiano dell’alimentare per eccellenza e farlo risalire, così, nell’engagement. Analisi suggestiva. Peccato che, la sera del comizio a Ravenna, la frase di Salvini fosse una risposta a una signora tra il pubblico che, in un momento non esattamente di alta politica, ha citato la famosa crema spalmabile.

Ora, anche ammettendo che tutta la scena, la battuta della signora e la risposta del “capitano” facesse tutto parte di un copione scritto e pensato ad hoc per l’occasione da Luca Morisi e dal suo staff, resta da capire quale razza di strategia potrebbe mai suggerire di attaccare a testa bassa il simbolo più amato dagli italiani. Per averne conferma, bastava dare un’occhiata ai commenti che campeggiavano in quelle ore nella pagina di Salvini e in altre pagine a lui collegate, dove era un florilegio di commenti dei suoi follower non esattamente entusiasti. Ma avrebbe significato porsi delle domande.

Una gaffe in piena regola, insomma, a cui ancora una volta gli “esperti” della comunicazione anti-sovranista sono riusciti ad attribuire imperscrutabili qualità messianiche, prima ancora che mediatiche. Come se, in fondo, ci fossimo abituati così tanto ad annaspare inseguendo la comunicazione salviniana e sovranista, da non riuscire a concepire che spesso si tratta di una messinscena recitata male da attori dilettanti, rivolta a un pubblico totalmente impreparato. In una parola: il salvinismo. Se solo ci degnassimo di guardare la luna, invece del dito che la indica.

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