Salvate il soldato Zan. Ovvero cronaca di un disastro annunciato
Una strana coalizione da Calderoli a Renzi è riuscita ad affossare il Ddl Zan. Questo mentre il Segretario del pd, Letta, dichiarava aperture sulle modifiche del testo. Una sconfitta per il parlamento e per il Paese.
Non finiamo mai di stupirci, o forse meglio dire che non c’è nulla da stupirsi se oggi il ddl Zan è morto nel segreto delle urne del Senato con 154 voti favorevoli e 131 contrari a favore della cosiddetta “tagliola”, che di fatto blocca il decreto e lo rispedisce in commissione a cui approderà tra non prima di sei mesi.
Frutto di un capolavoro del Parlamento più eterogeneo e contraddittorio degli ultimi anni della storia repubblicana d’Italia, il passaggio di stamane al Senato riporta in maniera plastica come un Parlamento che tiene insieme le istanze di Liberi e Uguali con quelle della Lega non possa far altro che dividersi e contemplarsi in strategie fratricide di componenti che dovrebbero essere della stessa maggioranza e che invece fanno di tutto per eliminarsi a vicenda. Segnali preoccupanti anche per lo stesso Draghi e in generale per la stabilità del governo.
Il Ddl Zan è l’esempio più lampante di una strana eterogeneità; le sue peculiarità, strettamente riferite a un universo morale e ideologico di convinzioni valoriali che appartengono a uno schieramento progressista, si scontrano con la compagine di un governo essenzialmente moderato con forte connotazione conservatrice.
Il decreto a prima firma Alessandro Zan avrebbe inserito una serie di norme incontestabili che vedono al primo punto la difesa dalla violenza di genere, l’omotransfobia, cioè di tutti gli abusi omofobi manifesti nelle diverse forme di soprusi, fisici, verbali, culturali verso tutte le altre realtà di genere, in particolare modo femminili – vedi numero dei femminicidi che tragicamente accadono in Italia ogni giorno – così come verso il mondo Lgbt, vittima di costanti violenze, soprattutto sul piano culturale e verbale.
Il Ddl, come prevedibile, si impantana su una serie di piccoli veti incrociati, sfide e piccole rivalse tra i singoli partiti e finanche tra singoli leader che in qualche modo ne decretano oggi la morte. È ovvio che le principali colpe di tutto ciò sono imputabili alla destra di Salvini e Berlusconi e che gran parte di questo capolavoro è colpa dell’abile ambiguità perpetrata da Renzi che non esita a sua volta ad accollare le responsabilità alla rigidità del PD sulle modifiche al testo. Tutto fin troppo ovvio e già scritto.
Esiste però un limite entro il quale sostenere una battaglia che attenga al buon senso di un’azione di governo, e non all’atto di testimonianza di parte. È un limite che sta nel perimetro della maggioranza stessa di governo. Se la battaglia è persa in partenza e la questione è di primaria importanza per il PD, la domanda non è se è stato giusto o meno portare al voto segreto il Ddl Zan. La domanda è: perché il PD accetta di stare in questa assise di governo se non può apportare modifiche sostanziali sul piano dei diritti nel Paese?
E questo vale anche per quel che riguarda i referendum appena sottoscritti da centinaia di migliaia di italiani sulla legalizzazione delle droghe leggere e sull’eutanasia che probabilmente subiranno lo stesso trattamento del Ddl Zan, sempre che arrivino prima in Consiglio dei Ministri. È questa la prova del nove. Possono il Partito Democratico così come la Sinistra nel governo Draghi incidere su questi temi? È qualcosa di importante dal quale bisogna trarre le conclusioni, perché il ragionamento politico successivo è quello che motiva la Sinistra a governare in questa fase del Paese.
Forse strategicamente lo stesso Letta più che dichiarare aperture sulle modifiche del testo del Ddl Zan – dando più o meno volontariamente importanza al lavoro di Renzi che nei mesi scorsi aveva messo sotto scacco il decreto ponendosi come mediatore – avrebbe dovuto concentrarsi su battaglie ugualmente importanti da portare a casa.
Forse sarebbe opportuno dare pieno sostegno al ministro Orlando e ascolto ai sindacati che si apprestano a indire uno sciopero generale e fare una reale battaglia sui diritti sociali, in particolar modo su quelli che attengono i nuovi ammortizzatori sociali e la tutela delle fasce povere e delle sofferenze economiche della popolazione. Ci starebbe forse una posizione più chiara e netta sulla questione Monte dei Paschi, solo per dirne alcune.
La battaglia sui diritti individuali è sacrosanta e va messa al primo punto dell’agenda di un partito progressista, ma a patto che porti a dei risultati concreti. I diritti vanno affrontati con determinazione, senza accordi al ribasso.
Se questa battaglia è sacrosanta allora si esca dal governo. Se invece si decide per ragion di stato, allora si sappia che la questione è chiusa e le priorità saranno altre.