Salvate il soldato Berlinguer. Cari Kompagni giù le mani da CartaBianca
Nell’epoca dei Social la censura è grottescamente fuori sincrono. È tempo che la politica riponga le forbici e lasci camminare le idee sulla loro forza anziché silenziare le opinioni altrui
Anni fa, da candidato a sicura catastrofe (erano le primarie del Pd stravinte da Renzi), andai invitato a “Un giorno da pecora”, la striscia satirica di Rai Radio 2 condotta dagli ottimi Lauro e Sabelli Fioretti. Quelli aprirono una telefonata con Mauro Corona e la cosa andò più o meno così: «Sior Corona, qua in studio abbiamo Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Partito Democratico. Le piace?». L’altro di rimando, «Non lo sopporto!». Sorridendo chiesi se avevano altri ospiti a sostegno dell’impresa nei gazebo e capii che pure loro erano dispiaciuti, ma giuro che da allora – sarà stata la spontaneità – la mia simpatia per lo scrittore-alpinista di Erto non è più venuta meno. Così quando sento criticare la sua presenza nella copertina di Cartabianca – ogni martedì su Rai 3 in prima serata (finora) – penso al detto “chi si somiglia si piglia” e però, tra le virtù della tivù e della cultura in genere ci metterei proprio il gusto di ascoltare anche quanti difficilmente ti inviterebbero a cena per scambiare due chiacchiere.
La chiamerei banalmente curiosità, che si può soddisfare, ma anche no, si capisce, e in quel caso basta spegnere l’apparecchio o girare canale. Di recente, due mesi, poco più, appena in coda a Corona lo stesso programma apre la pagina della guerra col professor Alessandro Orsini, studioso di terrorismo e politiche della sicurezza, cattedratico in grado di calamitare polemiche più che aspre. Gli riesce, quest’ultima cosa intendo, con relativa facilità in ragione di affermazioni dette apposta, così almeno pare, per seminare sconcerto. Dai bambini potenzialmente felici anche nelle dittature alla genesi non per forza hitleriana del secondo conflitto mondiale sino alla sentenza sul conflitto già vinto da Putin qualche giorno dopo l’invasione («a condizioni immutate», come ha tenuto a precisare in mia presenza durante una recente puntata).
Ora, anni addietro il professor Orsini ha pure messo su carta giudizi e frasi irricevibili a riguardo di Antonio Gramsci, il che per parte mia sarebbe sufficiente ad archiviare il capitolo. Resta che sulla combinazione Corona-Orsini (ma direi essenzialmente il secondo), la Rai, prima industria culturale del Paese, sembrerebbe orientata a chiudere Cartabianca a fine stagione. Perché fa scarsi ascolti? Questo non si può dire, competendo pressoché alla pari con la concorrenza di giorno e di fascia. Perché non piace al direttore di quella rete o all’amministratore delegato dell’azienda o all’intero consiglio di amministrazione di Viale Mazzini? Questa è un’ipotesi più realistica, anche se obbligherebbe a fornire i motivi di un giudizio tanto severo, a meno di ritenere bastante la discrezionalità dei vertici di turno. Ci sarebbe infine una terza possibilità che, detta in soldoni, ricadrebbe nel vizio antico della politica a voler metter parola sull’autonomia editoriale di questo o quel pezzo dell’informazione pubblica.
Ecco, siccome “a pensar male si fa peccato etc. etc.”, voglio credere non sia così, ma nel caso opposto andrebbe spiegato come, quello sì, vorrebbe dire riaprire l’album della censura nel tempo sbagliato e nel modo peggiore. Perché di storie, aneddoti o episodi simili la nostra televisione è ricca. Uno tra i più noti? Erano le 21.10 del 29 novembre 1962 quando l’annunciatrice affacciata nelle case comunicò il “ritiro” da Canzonissima dei due conduttori, Franca Rame e il futuro Nobel Dario Fo, rei di uno sketch sulle morti bianche nei cantieri edili. Bello scandalo allora (l’epurazione, perché le morti bianche sono proseguite nei decenni). Oppure la scomparsa – c’è chi dice, distruzione – di filmati con don Milani e Pasolini o la messa al bando di Musatti e Zavattini. Per non dire dei testi delle canzoni che chiederebbero un capitolo a sé.
Il punto, come detto, è che la televisione di quella censura è ricca, però da tempo sarebbe anche sazia nel senso di non contemplare più forme di controllo, vigilanza e pressione che nulla di pedagogico potevano vantare in passato e oggi, nell’epoca di social e ricchezza di offerte e contenuti, appaiono grottescamente fuori sincrono come i vecchi inserti di Enrico Ghezzi a Blob. Detto ciò non so dire come la vicenda finirà. Mi auguro nel solo modo sensato, riponendo le forbici e sposando la saggia regola di far camminare le idee sulla forza loro anziché sul silenziare opinioni altrui. Quindi, per il poco che possa contare, lunga vita a Cartabianca e finiamola qui.