Questo è il decennio di Roma: rendiamola il più possibile distante dal modello Milano
“Le faccio una previsione, secondo me Roma è la città del prossimo decennio”. E Milano? “No”. A dirlo non è né un milanese, né un romano, ma un fiorentino come l’ex premier e oggi leader di Italia Viva Matteo Renzi, intervistato dal direttore di TPI Giulio Gambino. Una frase che arriva sulla scia di tanti piccoli elementi che portano a farci credere che, a prescindere dalle amministrazioni presenti e future, dopo anni di immobilismo Roma abbia voglia di rialzarsi e riprendersi, passo dopo passo, il posto che si merita.
Nello scorso decennio Roma è rimasta ferma, avvitandosi su discussioni spesso miopi che l’hanno tagliata fuori dai grandi progetti internazionali, rinunciando all’ambizione, che dovrebbe esserle naturale, di scrivere ogni giorno la storia. Una città che, proprio per la sua storia e la sua natura, dovrebbe saper ospitare grandi eventi di carattere internazionale, realizzare novità architettoniche che siano da esempio in tutto il mondo, senza però essere invasiva nei confronti del proprio immenso patrimonio storico-culturale.
E invece nulla di tutto ciò è accaduto, e abbiamo visto come, quasi volendo ambire alla mediocrità, si sia accartocciata intorno alla costruzione dello Stadio della Roma, continui da anni a tenere abbandonato lo scheletro di una grande opera di livello internazionale come la Città del Nuoto di Santiago Calatrava, sembri vedere nella metropolitana un problema e non uno strumento di sviluppo, e ha toccato il momento probabilmente più emblematico di questo abbrutimento rinunciando alla candidatura per le Olimpiadi del 2024.
E proprio sulle Olimpiadi è arrivato uno schiaffo simbolico da Milano, visto che il capoluogo lombardo, in tandem con Cortina, ospiterà quelle invernali del 2026. Uno dei tanti segnali di una città che nello scorso decennio ha saputo guardare al futuro, organizzare grandi eventi come l’Expo 2015 e ripensare completamente il suo spazio urbano, realizzando architetture, come il Bosco Verticale o le Tre Torri, che hanno cambiato i connotati della città e si sono imposti come i simboli di questo nuovo volto di Milano.
E nel nostro Paese, quello in cui i campanili continuano a farla da padroni, quello che ha inventato i Guelfi e i Ghibellini, i paragoni tra le città sono una regola, siano bonariamente canzonatori o tecnicamente approfonditi. Soprattutto tra città che mantengono un’amichevole rivalità.
La narrazione degli ultimi anni ha dunque visto una Roma tronfia e abbrutita contro una Milano operosa e appariscente, in continuo rinnovamento, “locomotiva d’Italia” che voleva riprendersi il suo ruolo di capitale morale e motore economico che aveva acquisito negli anni del boom dopo anni in cui era rimasta all’ombra del cosiddetto “Modello Roma”, che aveva ridato alla capitale un’immagine diversa rispetto a quello di metropoli burocratica che si limita a vivere del suo illustre passato. Ma come questi fatti mostrano, tutti i modelli, anche i più vincenti, hanno bisogno di una nuova spinta per non finire su un binario morto.
Ogni sviluppo rapido e incisivo rischia sempre di causare bolle e disuguaglianze, che ci auguriamo Milano sappia affrontare per continuare questo momento di crescita. Ma non è solo per questa ragione che, se vuole prendersi questo decennio appena aperto, Roma non deve scopiazzare dal modello Milano.
Dopo anni di immobilismo, qualche piccolissimo movimento si vede. La sindaca Virginia Raggi, la stessa che ha voluto rivedere il progetto dello Stadio della Roma e che ha voluto rinunciare alla candidatura alle Olimpiadi, ha lanciato la candidatura della capitale per ospitare la nuova agenzia europea per la ricerca biomedica. E non sono mancati gli studi e i progetti su come rilanciare Roma nei prossimi anni, come il report del Cresme “Roma 2040”, mentre diverse voci, come quella già citata dell’ex premier Renzi ai microfoni di TPI, vedono la possibilità di un rilancio.
Proprio mentre queste gocce sparse sembrano mettere in moto qualche ragionamento più approfondito, compaiono immagini di chi, in questo contesto, inizia a ripensare Roma, anche in maniera provocatoria, inserendo strutture avveniristiche accanto alle bellezze di Roma, come fatto ad esempio dallo studio TARI-Architects, con l’obiettivo di voler riprendere la sperimentazione architettonica in una città bloccata.
Proprio una di queste loro immagini, che hanno un lodevole intento, quella di Piazza del Popolo, con le Chiese gemelle sormontate da strutture avveniristiche che richiamano un po’ il Bosco verticale di Milano, fa capire come questi anni di Roma abbrutita e Milano in movimento ci facciano rischiare di guardare troppo al capoluogo lombardo per lanciare un decennio all’insegna della Capitale.
Se Roma vuole davvero riprendere il posto che le spetta, deve prima di tutto avere le idee chiare e farlo per la sua strada, che non è quella di Milano come non è quella di Berlino, Londra o Barcellona. Ogni città è unica e quando vuole crescere deve trovare il suo stile e il suo modo di essere in base alle proprie peculiarità urbane, storiche e geografiche.
Roma deve prima di tutto risolvere una serie di problemi urgenti, come il traffico o la gestione dei rifiuti, rendere la vita più semplice ai suoi cittadini e lanciare il cuore oltre l’ostacolo. Ma non può farlo trasformandosi in una vetrina, perché la stessa emergenza coronavirus ci dimostra che qualsiasi modello di sviluppo è facilmente intaccabile da fattori esterni, se non ben sviluppato e inclusivo: non possiamo basare il motore della nostra città esclusivamente sul turismo e senza una spina dorsale diversificata, non possiamo tagliare fuori segmenti di società, non possiamo pensare che il glorioso passato sia sufficiente a garantire un luminoso futuro, ma non possiamo immaginare un luminoso futuro senza valorizzare il nostro glorioso passato.
Le caratteristiche uniche di Roma rendono necessari modelli di sviluppo unici, ma per superare l’immobilismo degli anni passati non basterà di certo esultare per l’arrivo di Starbucks o applaudire una nuova pista ciclabile. Queste sono cose che non hanno nulla di speciale. Per superare un abbrutimento serve prima di tutto una visione universale, che non si fermi alla pur nobile soluzione al problema imminente, e uno sforzo di tutti coloro che in un modo o nell’altro hanno voce in capitolo, come amministratori o come cittadini.
Non abbiamo paura di pensare alla Roma di domani. Immaginiamo, proponiamo, discutiamo. Troviamo la strada che la nostra città dovrà percorrere verso un decennio che deve appartenerle. Ma troviamo una strada nostra, senza scopiazzarla dagli altri: rischieremmo di diventare solo una brutta copia.
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