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Roma, la città che non vuole essere disturbata (di S. Mentana)

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Roma è una città che non ama essere disturbata. Forse perché è impegnata a reggere il peso di una storia tale da non avere voglia di distrarsi, o forse è parte della propria natura, ma fatto sta che questa caratteristica si è notata in numerose occasioni nel corso dei millenni. Oggi la vediamo di nuovo, in occasione delle elezioni amministrative in programma dopo l’estate.

Lo spettacolo in vista del voto, atteso da cinque anni e posticipato di pochi mesi a causa dell’emergenza sanitaria, è caratterizzato da un pigro immobilismo. Da una parte la sindaca uscente Virginia Raggi, rimasta efficacemente ferma a ogni pressione per compiere un passo di lato e lasciare spazio a un accordo col PD, anch’esso arenato in trattative con i Cinque Stelle che hanno lasciato il suo candidato in pectore, Roberto Gualtieri, a bagnomaria per mesi. Poi c’è il centrodestra, strutturalmente il favorito, ma che sembra inspiegabilmente non aver alcuna fretta di trovare un candidato, con timide proposte che spesso cadono nel vuoto. Così, persino i tentativi di Carlo Calenda di approfittare di questa situazione per emergere e accreditarsi come candidato forte perdono di slancio in questo clima.

Roma non ama essere disturbata, lo vediamo sotto i nostri occhi in questi giorni. Lasciate perdere il luogo comune del romano a cui non va di lavorare, tutto osteria e pennichella, a metà tra uno stornello e una commedia anni Sessanta, perché lascia il tempo che trova. Roma non si scompone, non si stupisce, ha millenni di storia sulle spalle e anche un appuntamento importante, come quello elettorale, non la scompone.

Appena ieri, quando i giovani intellettuali d’Europa percorrevano gli itinerari del Grand Tour, nel descrivere le bellezze di Roma la raccontavano spesso come sopravvissuta alla grandezza dell’impero, e come se quella grandezza in qualche modo rimanesse tale attraverso le testimonianze lasciate, per quanto in rovina potessero essere. Una grandezza che a Roma è sempre rimasta anche per il suo ruolo di sede del Papato e di centro del Cattolicesimo, che ha dato continuità alla centralità globale di Roma.

Ma questa grandezza ha contribuito alla costruzione di questo carattere, che spesso risulta come un’insensibilità agli stimoli esterni. Sempre gli intellettuali che passavano da Roma per il Grand Tour non esitavano a raccontare di una Roma che spesso gli sembrava rimasta ferma nel tempo rispetto alle grandi città del nord Europa che si facevano sempre più industriali, così come oggi chi viaggia all’estero non esita a lanciarsi in paragoni con altre città del mondo, nel bene e nel male. Tuttavia, raramente queste considerazioni si trasformano in stimolo, perché c’è una sorta di consapevolezza in ogni romano che nell’Urbe c’era da prima e ci sarà anche dopo, come se il resto fosse effimero o poco più.

D’altronde è questo ciò per cui un funzionario consolò Vittorio Emanuele II, triste per l’accoglienza poco calorosa dei romani al momento dell’insediamento nella nuova capitale italiana, dicendogli che doveva capirli, perché d’altronde avevano avuto Giulio Cesare come consigliere comunale. Ed è esattamente lo stesso principio che ha portato un oste a limitarsi a dire “m’arillegro” quando gli spiegarono che l’uomo a cui aveva versato il vino era il kaiser Guglielmo II di Germania.

Ma se la storia ha portato a questo carattere, esso non deve trasformarsi in una perdita di opportunità e nel restare immobili al cambiamento e al futuro. La grandezza di Roma non deve essere un anestetico per questa città, ma deve essa stessa essere lo stimolo, e il nostro carattere deve permetterci di affrontare tutto questo con serenità, di non essere disturbati nel seguire la nostra strada, ma di sceglierla e seguirla. Perché la storia ci ha fatto grandi, ma quella da scrivere può farci ancora più grandi.

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