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Home » Opinioni

La stampa più stonata di Biden

Immagine di copertina
Credit: AGF

Il ritiro dalla corsa per la Casa Bianca di Joe Biden indica, molto più di classifiche e report vari, lo stato di salute del giornalismo in Italia e nel mondo.

Da quando il presidente degli Stati Uniti ha iniziato a dare segni di cedimento fisico e mentale si sono a lungo rincorse le voci su un suo possibile ritiro in vista di un secondo mandato, già di per sé traballante. Ma la stampa vicina e accreditata alla Casa Bianca – tutta indistintamente – non ha fatto altro che smentire l’indiscrezione riportando con convinzione che si trattava di un wishful thinking, a seconda dei punti di vista, e non di una reale possibilità.

E per rafforzare questa smentita, quasi tutti i quotidiani citavano le fonti, ufficiali e ufficiose, più vicine al presidente e quelle ufficiali della Casa Bianca. «È impossibile che Biden rinunci». «Si tratta di pura fantascienza».

Loro malgrado, senza con ciò voler attribuirgli la colpa, i cronisti più accreditati a Washington ripetevano all’unisono il messaggio: «È assolutamente fuori discussione che il presidente faccia un passo indietro».

Si sono così rapidamente create due narrazioni: la prima, quella ufficiale, propagata dalla Casa Bianca, che tentava di mettere una toppa ad un buco divenuto ormai cratere; la seconda, quella non ufficiale e che appariva sui giornali perlopiù attraverso le singole opinioni di alcuni editorialisti, correva sotto traccia e sui social media, evidenziando come una larga fetta dell’elettorato americano, moderato e progressista, diffidava tanto di Trump quanto, al contempo, di un capo di Stato capace di collezionare molteplici gaffe e che è arrivato a scambiare Zelensky per Putin.

In questo rincorrersi di voci e smentite, tra versioni ufficiali e ufficiose, neppure sono state determinanti (almeno inizialmente) le ragioni di chi, fra i democratici – non ultimo l’ex presidente Barack Obama e l’ex presidente della Camera Nancy Pelosi – suggeriva che la campagna di Biden sarebbe dovuta terminare quanto prima per non prolungare oltremodo la sofferenza di un uomo (e di un partito) che difficilmente avrebbe ottenuto la conferma di un secondo mandato.

La narrazione non ufficiale (i veterani dem e il consenso popolare) indicava chiaramente la strada da percorrere, già da molto tempo: direzione che poi è stata intrapresa, sia pur con l’aggravante di aver perso tempo prezioso.

La narrazione ufficiale della Casa Bianca, ostinata e contraria a un cambio di passo che sarebbe dovuto arrivare ben prima, rivela quanto una parte della stampa, in particolare quella che segue da vicino il presidente, sia sempre più house-organ del potere. Incapace di coltivare il dubbio anche dinanzi alle posizioni ufficiali, benché ovvie, e contribuendo inconsapevolmente al suicidio politico di un partito.

Non a caso, oggi, nel day after della resa di Biden, si fa un gran parlare di “selflessness”, inteso come l’elogio di un politico altruista capace di rinunciare al proprio orgoglio (o alla poltrona) per il bene del partito e del Paese.

Ma è, ancora una volta, la risposta, intrisa di senso di colpa, di una stampa incapace di ammettere di aver commesso l’errore di aver flirtato troppo a lungo con la narrazione ufficiale della Casa Bianca. Anche perché se Biden avesse davvero voluto rinunciare a tutto ciò lo avrebbe dovuto fare mesi prima, non a partita quasi chiusa.

In 24 giorni, invece, l’uomo più potente al mondo ha fatto tutto da solo, e con lui i suoi più stretti collaboratori, rendendo vane le speranze di essere rieletto: il dibattito con Trump disastroso di fine giugno, l’uso ricorrente del gobbo per parlare al pubblico (con la conseguenza che molti donatori hanno iniziato a dubitare della sua lucidità), una salute traballante, l’intervista zoppicante del 5 luglio ad Abc News, infine il Covid.

Anche il tentato assassinio di Trump ha reso più debole Biden: il primo è passato agli occhi degli elettori come un sopravvissuto al proiettile di un estremista, il secondo come incapace di sottoporsi alle domande di un cronista.

Il 19 luglio, a 48 ore dal drammatico annuncio, il suo team dettava il tempo e batteva ancora la notizia: «Biden correrà e vincerà le elezioni contro Trump». Normale grammatica politica per il team di comunicazione di un leader che cercava di comprare tempo; terribile stonatura per una stampa che dovrebbe fare il contrario.

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