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La scienza in tempo di pandemia è anche politica, ma Ricciardi sembra ignorarlo

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Walter Ricciardi. Credit: Ansa

Il consigliere di Speranza ha chiesto un lockdown nazionale, spiazzando lo stesso ministro per cui lavora. E conferendo alla scienza il rango di sapere assoluto, slegato dal più ampio contesto della decisione politica

Correva l’anno 1588 e un grande giurista italiano, Alberico Gentile, lanciò quasi per disperazione un monito poi trasformatosi in un principio cardine della separazione tra politica e religione nello stato moderno: “Silete theologi in munere alieno”. Ovvero: “Cari teologi, smettetela di occuparvi di argomenti che non vi competono”. L’Europa, in quella fase storica, era dilaniata dalle guerre di religione, che si combattevano anche sulla base delle verità dogmatiche propugnate proprio dai teologi. Si faceva la guerra perché la si riteneva “giusta” a partire da verità di fede.

Da qui il monito: riportiamo la guerra nel campo della decisione politica, non delle verità assolute della religione. I teologi tacciano e discettino pure delle verità di fede, senza che questo condizioni (in peggio) la vita dei popoli europei.

Verrebbe la tentazione di lanciare un monito analogo al consigliere del ministro della Salute Walter Ricciardi, protagonista di un’uscita che ha sollevato un vespaio di polemiche in cui ha invocato un nuovo lockdown nazionale per fermare la diffusione delle varianti del Covid. Un disco rotto, l’hanno accusato alcuni colleghi di opposte vedute. “Silenziatelo”, ha chiesto il governatore della Liguria Giovanni Toti, mutuando inconsapevolmente l’appello di Alberico Gentile: “Silete virologi in munere alieno!”.

Che la scienza, specie in tempi di pandemia, proceda come la politica a tentoni, con virologi, epidemiologi, infettivologi che si contraddicono tra loro e leggono i dati in maniera opposta, è fisiologico e per certi versi persino salutare. Anche una sparata priva di fondamento, nel momento in cui innesca reazioni di segno opposto e attiva un dibattito scientifico e politico, può rivelarsi utile per fare un passo avanti nella discussione pubblica.

Ma, appunto, tutto deve avvenire nella consapevolezza che gli scienziati, quand’anche siano plurititolati e decorati, non esprimono pareri pro veritate ma spesso mere opinioni, valutazioni sulla base della propria sensibilità sia scientifica, sia umana, sia politica. Valutazioni che partono da una lettura dei dati che conduce a valutazioni soggettive sulle misure che potrebbero essere varate. Se fossero dogmi e verità assolute, del resto, la fede in Ricciardi sarebbe già andata smarrita da tempo, dopo che a inizio pandemia aveva dichiarato: “Le mascherine, alle persone sane, non servono a nulla. Le mascherine servono per proteggere le persone malate e il personale sanitario”.

Una cantonata giustificabile, forse, nel contesto di un dibattito scientifico in continua progressione e in cui, grazie al cielo, le palesi inesattezze si rivelano presto tali.

Ma in questo contesto, per l’appunto, è impensabile che gli scienziati agiscano come cani sciolti, anime belle del dibattito pubblico, del tutto slegati rispetto alla più ampia gestione politica di una pandemia e agli stessi decisori politici. La cosa risulta ancora più inconcepibile per un consigliere del ministero della Salute, che ha quindi un compito direttamente politico. Ricciardi ha rilasciato quelle dichiarazioni nel momento in cui era in corso una transizione di Governo, prima ancora che lo stesso esecutivo potesse esprimere una linea ufficiale, spiazzando il ministro per cui lavora.

E irritando, a ragion veduta, diversi membri del comitato tecnico scientifico, che hanno appunto rilevato come un consigliere del ministro della Salute, prima ancora che dai lettori dei giornali, dovrebbe farsi ascoltare dal ministro della Salute.

Ricciardi lo ha fatto per una superiore coscienza civica, si obietterà, richiamando alla necessità di un lockdown immediato per oggettive valutazioni scientifiche e per evitare un nuovo cataclisma sanitario. Questa tesi, come già evidenziato, è troppo fragile. Nessuno può stabilire con certezza come potrà evolversi la pandemia in Italia col sistema attuale, basato sulle fasce di rischio. Scienziati autorevoli quanto Ricciardi ritengono che il lockdown ora come ora non serva a niente.

Nelle precedenti fasi della pandemia illustri virologi ci avevano assicurato che la seconda ondata non ci sarebbe stata, altri hanno paventato l’apocalisse in periodi in cui i contagi, invece, sono poi diminuiti. E più in generale, così come in tempo di pandemia il politico deve fare anche un po’ lo scienziato, la stessa cosa vale al contrario. Il che significa che una valutazione sulle misure da prendere non può essere solo basata su principi epidemiologici (tra l’altro arbitrari) ma su un più ampio spettro di questioni politiche, sociali, economiche, in cui non si insegue solo l’utopia del contagio zero tramite lockdown semi-permanente.

Ciò significa che la tesi del lockdown per evitare la diffusione delle varianti sia di per sé sbagliata? Ovviamente no, ma è giusto che Ricciardi la esprima se questa è la linea anche del suo ministro, dopo un confronto col Governo di cui fa in qualche modo parte. Perché mettere in difficoltà un esecutivo appena nato con un’uscita sui media che si sa essere estremamente divisiva, formulando proposte che si sa essere di difficilissima applicazione, significa interpretare il proprio sapere scientifico come una verità di fede.

Ma di verità scientifiche assolute, come già  notato, in questa pandemia se ne vedono ben poche. Ecco perché Ricciardi, se vuole mantenere un ruolo che è allo stesso tempo scientifico e politico, non può pensare di essere totalmente privo di una coscienza politica. Il che non significa servire un interesse di parte, bensì l’interesse generale dello Stato, che in tempo di pandemia si sostanzia di decisioni concertate tra scienziati e politici, in un complesso equilibrio tra gestione sanitaria ed economico-sociale che non può essere tagliato un giorno sì e uno no con l’accetta del lockdown.

Il rischio, altrimenti, è che la scienza proceda per dogmatismi, con presunte certezze di rango superiore, proprio come quei teologi che pretendevano di spiegare quali fossero i principi della guerra giusta e che qualcuno alla fine chiese di silenziare. Meglio un sano compromesso: nessuno delegittima Ricciardi per la panzana sulle mascherine inutili, o la Gismondo per aver detto a inizio pandemia che il Covid fosse derubricabile a influenza (e si potrebbe proseguire a lungo). Ma allo stesso tempo chi rilascia dichiarazioni sui giornali, specie se ha incarichi para-governativi, lo fa nella consapevolezza di non essere il depositario di un sapere assoluto e slegato dalla politica.

Non silete, virologi, ma siate scienziati degni di una responsabilità che va oltre la scienza.

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