Non ripetiamo gli errori dell’anno scorso: riapriamo, ma facciamo attenzione (di S. Mentana)
Parlare delle riaperture e delle misure anti-Covid non è mai facile, per tanti motivi. Primo tra tutti, perché a causa di questa pandemia sono morte oltre 3 milioni di persone in tutto il mondo di cui oltre 100mila in Italia. In secondo luogo, perché pur pretendendo come cittadini il massimo dell’attenzione da parte del governo e delle istituzioni, bisogna comprendere che anche per i due esecutivi che si sono succeduti dall’inizio della pandemia questa emergenza rappresenta qualcosa che non si poteva prevedere e per cui trovare una soluzione è tutt’altro che facile.
Mentre le riaperture si avvicinano, e la campagna vaccinale procede, pur tra polemiche e tentennamenti, gli italiani iniziano a vedere quantomeno la prospettiva di un ritorno alla normalità. Ma adesso sarà importante fare in modo che quella con cui avremo a che fare da lunedì prossimo sia davvero una nuova normalità, e non una falsa normalità.
Abbiamo già vissuto una situazione del genere un anno fa, quando usciti dal lockdown iniziato a marzo ricominciarono gradualmente le riaperture. Abituiamoci alla nuova normalità, si diceva: abbiamo imparato ad andare al ristorante con la mascherina, sederci in tavoli distanziati, rivedere amici e parenti dopo mesi trascorsi confinati tenendo un metro di distanza, tutt’al più salutandoci con un colpo di gomito. Giorno dopo giorno i contagi scendevano, i pareri che lasciavano intendere che il virus ci stesse gradualmente salutando aumentavano, e si pensò che si potesse tornare a vivere nella normalità: si trattava però di una falsa normalità. Perché come purtroppo sappiamo, il coronavirus era ancora tra noi.
Per molto tempo c’eravamo detti “andrà tutto bene”, come se avessimo semplicemente dovuto attendere che il virus se ne andasse da solo per qualche ragione. Il virus non se ne va da solo, se ne va con le azioni, sia dei singoli cittadini che delle istituzioni. E se vogliamo tornare al ristorante, al museo, allo stadio, dobbiamo farlo seguendo precisi comportanti e avendo la possibilità di farlo in sicurezza. Ma le prime da cui ci si aspetta che la riapertura avvenga con senno sono le istituzioni: da loro più che un coprifuoco che suona tanto di deterrente, come confermato dall’epidemiologa Lucia Bisceglia in un’intervista al Corriere della Sera, ci si aspetta che venga favorito dove è possibile lo smart working e resa più efficiente possibile la didattica a distanza. Molti studi hanno mostrato infatti che gli spostamenti di massa rappresentano uno dei principali veicoli di contagio, e se vogliamo riaprire sono uno dei principali elementi da tenere sotto controllo.
Oggi i contagi sono ancora tanti, i virologi hanno timore che abbassare la guardia possa avere effetti molto negativi e la strada per uscire dalla pandemia è lunga. Essere cauti e assennati è necessario, e dobbiamo ricordare che oltre alle vittime di Covid questa pandemia ha tante vittime collaterali: persone rimaste senza lavoro, attività commerciali che non possono operare e cui non sempre bastano i ristori. Così come chi, per la prolungata solitudine e la mancanza di stimoli, ha dovuto affrontare problemi psicologici. Anche queste persone devono avere una prospettiva di uscita.
Le riaperture rappresentano per questo pezzo d’Italia un primo passo per la ripartenza, mentre per tutti la vera prospettiva arriva dal vaccino: oggi una parte della nostra popolazione, composta soprattutto dai soggetti più vulnerabili, è stata immunizzata e questo ci permette di essere maggiormente fiduciosi sul fatto che aprire qualche spiraglio della società possa avere effetti migliori rispetto alla riapertura dell’anno scorso. Ma deve avvenire con senno, e senza retorica o propaganda. Da parte sia nostra che delle istituzioni.