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Home » Opinioni

Repubblica contro Meloni in difesa della stampa libera, ma dimentica quegli articoli al miele pro-Draghi

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Da giorni è montata una polemica relativa ad alcuni attacchi della presidente Giorgia Meloni nei confronti di Repubblica, dopo che il giornale di proprietà degli Elkann aveva titolato, a proposito della strategia di privatizzazione di alcune partecipate di Stato: “Italia in vendita”.

La reazione da parte del giornale non è tardata giustamente ad arrivare. Chiunque appartenga alla classe politica, specie se membro dell’esecutivo, non può metter bocca su inchieste di questo o quel giornale. O meglio, non può delegittimarlo facendo riferimento ai proprietari – in questo caso gli Elkann –, lasciando intendere che il lavoro giornalistico di quella testata non sia credibile a priori.

Quest’ennesima uscita di Meloni è dovuta ad una sola ragione: ha dimenticato di non essere più all’opposizione. Presto o tardi lo capirà.

Quel che qui sembra stonare è piuttosto il tono con cui Repubblica ha risposto agli attacchi di Meloni. Il 28 gennaio è apparso un editoriale, a firma di Maurizio Molinari, dal titolo: “In difesa della libertà di informare”. Il 29 gennaio ancora un altro, stavolta a firma di Ezio Mauro: “La stampa non è il coro del potere”.

Sembrerebbe un perfetto monumento alla deontologia della professione giornalistica. O Almeno a coloro che hanno perso memoria dei fatti politici degli ultimi anni. In particolare, sembra doveroso citare alcuni articoli apparsi due o tre anni fa su un giornale che per ora non citeremo.

“Come il marziano Kunt di Flaiano, Mario Draghi atterra con la sua astronave a Montecitorio già di mattina per studiare il terreno e gli abitanti del nuovo pianeta, […]Intorno al lungo tavolo nella sala della biblioteca di Montecitorio, intanto va liscia, liscissima. Anche perché i primi “terrestri” incontrati da Kunt-Draghi sono quelli che parlano la sua stessa lingua. L’entusiasmo è contagioso. Uscendo per una frazione di secondo dall’algido aplomb francofortese, Draghi quasi abbraccia la Bonino”.

“Il Palazzo intero, abituato ormai da anni a essere percorso da terrapiattisti, no vax, parlamentari in sandali e complottisti stile Qanon, assiste a questo rito con trepidazione. I commessi parlamentari, che ne hanno viste di tutti i colori, rifiatano. Nella sala dei busti, attigua a quella a quella dove Draghi tiene le sue udienze, persino Enrico De Nicola e Alcide De Gasperi si guardano e sembrano sorridere, come i personaggi di Una notta al Museo”. (F. Bei, 04/02/2021).

“Così, senza rimuginare, Draghi appare invece come una persona che ti viene voglia di chiamare personalità, per quel sorriso quasi angelico, il modo di parlare elegante, l’aria da gentleman affabile ma inafferrabile, la distanza educata, con una moglie di gran classe che non parla neppure se non interrogata come fanno tutti gli altri; però un “tecnico”, che orrore, non insulta, non schernisce, non abbaia, non dice parolacce, non risponde alle domande inutili quali la più frequente è: ci dica una battuta”. (N. Aspesi, 05/02/2021).

“Quanto sono importanti i capelli? […] Se si guarda il capo degli ultimi due presidenti del Consiglio si coglie subito la differenza tra loro. Conte esibisce un ciuffo sbarazzino… Draghi usa invece la riga alla maniera tradizionale. Si chiama scriminatura… L’etimo di questa parola conduce a ‘discriminare’: ‘Distinguere una o più persone o cose da altre’. Non si può certo dire che all’ex banchiere centrale manchi questa dote” (Marco Belpoliti, 10/02/2022).

““L’agenda Draghi è stata il lampo di Paul Klee sulla politica che produce somiglianze ed è oggi l’abracadabra del nuovo centrosinistra”. (Francesco Merlo, 03/08/2021).

“Anche quando non indossa giacca e cravatta, quando è in maglioncino come nel treno diretto a Kiev insieme a Olaf Scholz e Emmanuel Macron, Mario Draghi porta una sorta di invisibile armatura, qualcosa che fa di lui un uomo solido, prima ancora che potente e armato. Ha evidentemente imparato la postura di chi sa come ci si rapporta con gli altri. Serietà? Impassibilità? Forza? Riservatezza? Tutte e quattro queste cose, per cui Draghi appare come una sorta di statua anche quando distende il viso in qualcosa che somiglia a un sorriso. […] Draghi è sempre a piombo, tutto cade giù dritto come un fuso: la cravatta, la giacca, la piega dei calzoni”.

“Persino quando siede con la moglie in attesa di ricevere il vaccino accavalla le gambe in modo elegante e piega leggermente il capo per parlare con la mascherina sul viso, con la moglie Serena. […]Mario Draghi è sempre in posa perché la posa è ciò che lo connota in ogni punto della sua vita, anche quando in un’altra foto lo avevano colto, dopo l’abbandono della Banca Centrale, mentre faceva la spesa al supermercato insieme a Serena. Gente comune, sì, ma anche fuori dal comune proprio per il suo pesare, che è una parola latina che vuol dire “fondarsi”. Anche se il voto lo affonda – oppure invece no – lui è sempre fondato. Poggia su qualcosa che noi non vediamo, ma che c’è” (Marco Belpoliti, 21/07/2022).

Se “la stampa non è il coro del potere”, se la libertà è la condizione necessaria per svolgere la professione giornalistica, per quale motivo sono state pubblicate sequele di articoli di questo genere? La libertà non è una condizione naturale, va conquistata giorno dopo giorno e custodita con la migliore attenzione. Perché non si può essere intransigenti con tutti i governi? Perché fare battaglie sulla libertà di stampa se poi, in presenza di un presidente gradito, si devono leggere salamelecchi come quelli citati?

Pertanto, così come ostacola la libertà di stampa un presidente che interviene a gamba tesa su un’inchiesta in corso, lo stesso fa chi, anziché informare i lettori e fare le pulci al potere, intinge la penna nel miele e scrive sperticati elogi a chi lo detiene. Il lettore avrà intuito che gli articoli sono stati pubblicati da Repubblica.

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