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Repubblica santifica Draghi: “Decisivo per la pace”. Il motivo? Una normale telefonata con Putin

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“La mediazione di Draghi”, titolava aulicamente Repubblica, stamattina. Sottotitolo: “in un’ora di colloquio al telefono il premier chiede: ‘Ridurre gli attacchi favorirà la tregua”. E questo era il giornale con la sintesi del Draghi di un giorno prima: imperativo, definitivo, secco. Il contenuto speciale sulla trattativa del presidente del Consiglio veniva presentato ai lettori di La Repubblica così: “Il nostro titolo di apertura, ‘La mediazione di Draghi’, descrive il ruolo fondamentale del nostro premier nella partita diplomatica per trovare la pace in Ucraina. In quasi un’ora di colloquio con Vladimir Putin – spiegava La Repubblica – Draghi offre il suo impegno a contribuire al processo di pace”.

L’enfasi gioca brutti scherzi. E dopo quella che a leggere Il quotidiano di largo Fochetti – e molti altri giornali italiani di oggi – era stata una vera e propria lezione di diplomazia al presidente russo (già questa mattina), e “un ruolo fondamentale” del nostro paese, con la conferenza stampa di Draghi (di oggi), alla stampa estera, diventava un resoconto decisamente più dimesso.

Secondo la sintesi di qualche detrattore di opposizione? No, anche sullo stesso giornale, e per bocca dello stesso presidente del consiglio italiano: “Il presidente russo – ha spiegato Draghi – mi ha detto che i tempi per un incontro con Zelensky non sono ancora maturi”. Altra frase chiave: “Per Putin ci sono piccoli passi avanti nei negoziati. Ho notato un cambiamento di tono in lui, ma sono molto cauto nell’interpretare i segni. Restiamo con i piedi per terra”. Così Putin diventa una nemico da schiaffeggiare nei resoconti delle fanfare, ma subito dopo un interlocutore che invece, di fronte ai giornalisti internazionali, si tratta addirittura con i guanti. Leggete questa frase del premier: “Per lui il cessate il fuoco non è maturo”.

Chi invece avesse letto La Repubblica di ieri avrebbe trovato questa frase perentoria: “Commenta Paolo Garimberti: ‘Putin deve capire, e Draghi ha fatto bene a dirglielo chiaramente, che per parlare di pace bisogna smettere di sparare, con un cessate il fuoco immediato e verificato’”. Agli italiani si racconta Draghi che le canta all’autocrate. Quando Draghi spiega alla stampa straniera, invece, arriva il racconto del leader con cui si continua a trattare. D’altra parte questa schizofrenia ci accompagna in tutta la crisi. Lo stesso Draghi aveva annullato una missione a Mosca, programmata da mesi, proprio nel giorno in cui era scoppiato il conflitto. E Il ministro Di Maio, dopo aver regalato il suo libro al collega Lavrov (“Lo farò tradurre”, ha commentato quello, con una punta di perfidia), ha poi ha paragonato Putin, in un programma televisivo, ad “un cane”. Durante il dibattito sull’interruzione del sistema dei pagamenti swift, mentre il cancelliere tedesco Scholtz si opponeva alla richiesta degli americani di interrompere ogni transazione, Palazzo Chigi faceva sapere in via ufficiale che l’Italia era pronta allo strappo definitivo.

Poi i tedeschi hanno prevalso, e il gas ha continuato a correre, sottotraccia, in questo conflitto, restando forse una delle poche vere chiavi di lettura di ciò che sta accadendo. E mentre Macron e i leader europei criticavano le frasi del presidente Biden in Polonia, sulla necessità di favorire un cambio di regime a Mosca, l’Italia recitava il ruolo dell’alleato atlantista e ligio nel muro contro muro. Stesso discorso la settimana scorsa, dopo la sparata vagamente surreale di Putin sulla richiesta di pagare le forniture di gas in rubli. Il lettore del quotidiano di largo Fochetti si trovava in due pagine, una fianco dell’altra due interpretazioni opposte: una in cui si spiegava che l’Italia avrebbe tagliato le forniture di gas con i russi perché Francesco Giavazzi, autorevole consigliere del presidente del Consiglio (vicino alle posizioni americane) spiegava che “Si può fare anche subito”. Nell’altra, invece, era riportato il parere del ministro Cingolani, secondo cui è impossibile chiudere la fornitura con la Russia perché “servono almeno tre anni per predisporre delle alternative”. Quindi il tema vero del racconto (il rubinetto del gas) ci dice oggi che oltre le nostre intenzioni e i nostri desideri, ben oltre le aspirazioni e la propaganda del governo italiano e di quello russo, sono le forniture – più che le alzate di ingegno o le battute – a dettare le condizioni reali e i rapporti di forza dei rapporti Italo-russi.

Ma questo, molto spesso in questi giorni stona con il bisogno di raccontare il muro contro muro. Il racconto che La Repubblica di ieri offriva sul suo sito, assumeva dei toni quei rodomonteschi, con il presidente russo messo a posto dai toni risoluti di Draghi. Ed ovviamente non era un racconto giusto o sbagliato, ma solo molto lontano dalla realtà. Il resoconto fornito dallo stesso Draghi oggi, assai più prudente, sembrava invece persino troppo felpato e diplomatico. Così, non resta che sorridere della sintesi operata dalla satira, che magari vìola il politicamente corretto e lo stile dell’informazione italiana in tempo di guerra. Mi riferisco alla vignetta dissacrante di Osho, in cui la reale essenza dei rapporti Italo russi vengono raccontati così. Nella vignetta divisa in due vediamo Draghi e Putin sorridenti al telefono. Al premier italiano Osho mette in bocca questa frase: “Buongiorno, chiamai in merito alla mia fornitura di gas”. E Putin, dall’altra parte, gli risponde: “Mi da il suo codice cliente?”.

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