Capolavoro politico di Renzi? Ma quando mai, lui farebbe fallire pure i funerali
Un capolavoro. Lezione di politica. Chapeau. Così descrive qualcuno la spregiudicata operazione di Matteo Renzi, l’emissario del Caos, colui che in mancanza di voti si accontenta dei veti, in mancanza di consensi si accontenta di compensi (possibilmente da riscuotere in Paesi che si affaccino sul Golfo Persico), in mancanza di ruolo si accontenta del dolo, dell’inganno con cui nasconde le sue intenzioni per poi rivelarle quando è il momento di “uccidere” il rivale.
Non lo sopportava Giuseppe Conte, Matteo Renzi. Non sopportava l’ombra a cui lo aveva costretto la pandemia. Quella posizione defilata, quel posto in ultima fila mentre il Paese e il suo governo affrontavano uno dei più grandi eventi della storia lo stavano logorando. Lui, costretto dai Dpcm di Conte a fare jogging sul tapis roulant come tutti noi, aveva resistito in silenzio fino agli ultimi giorni di aprile. Poi, appena il bollettino dei morti diventava più rassicurante, si riprendeva già la scena. “Riapriamo, noi abbiamo avuto il lockdown più duro di tutti! Mandiamo i ragazzi a scuola, facciamo uscire di casa gli anziani dopo i giovani!” e così via, una frase ad effetto dopo l’altra, entrando in competizione col Coronavirus per chi dei due si guadagnasse più titoli sui giornali, trovando di nuovo il suo palcoscenico.
Interviste, tv, giornali, il ruolo del cinico che vuole riaprire tutto già ad aprile e un dissenso quasi unanime che nella sua testa di narcisista irrecuperabile, l’ha illuminato definitivamente: se non posso uccidere Conte e rimanere illeso, sarà omicidio- suicidio. E così ha proseguito con il suo piano limpido, feroce e grandioso, quello dei grandi vanagloriosi, che non accettano la loro fine se non contempla anche quella di chi odiano. Ha mosso bene gli scacchi, certo. Ha mangiato le “sue” ministre e iniziato una guerra di nervi che avrebbe infiacchito qualunque avversario, ha proposto la patta fingendo che convenisse a tutti, ha atteso le mosse dell’avversario avendo già uno schema preciso in testa. Sapeva che Conte avrebbe accettato qualche compromesso, che sarebbe passato sopra qualche moto d’arroganza, ma non sotto le forche caudine.
Ha alzato l’asticella delle pretese come i grandi artisti quando non vogliono chiudere un concerto e allora chiedono cachet milionari e camerini col wc in oro zecchino finché non gli dicono “no”, ha chiesto tutto, dal Mes alla Meb a cui affibbiare un ministero, ha preteso la testa di Bonafede su un vassoio come una Salomè un po’ meno sensuale, ha mostrato i denti appuntiti in Senato e la lingua felpata in Arabia, ha costretto Zingaretti a fingersi vivo, ha infine disarcionato Conte, lasciandosi travolgere dal suo cavallo scosso. Che si è poi tramutato nella figura epica del Drago. Una fine mitologica, a raccontarla così, che invece non ha nulla di epico.
Nessun capolavoro, nessun genio, nessun favore al paese. Solo un tatticismo arido e brutale, da cui tutti escono sconfitti, Renzi compreso. Renzi che ormai avrà per sempre la gita in Arabia e un governo fatto cadere in pandemia appiccicati addosso, Renzi che “Conte ha giocato male, non è un politico e si vede”, lo stesso Renzi che disse “Letta è un incapace” e che si ritiene sempre il migliore, nonostante quel 40 per cento trasformato in 2 per cento in sei anni. Roba che non hanno vita così breve neppure le api operaie.
Renzi che poteva contare sulla memoria corta del paese, che poteva forse ricostruire, negli anni, quello che aveva distrutto e che invece ha urgenza di esistere, di vincere le battaglie sapendo che la guerra- col suo ego impellente- non può più vincerla, che non si accontenta di neppure di far fallire le feste – come qualcuno ha detto citando Jep Gambardella – ma è ormai oltre: fa fallire i funerali. Perché è lì, che è ancora, il Paese. Con troppi morti ancora da seppellire, un crisi economica e politica da non dormire la notte e un ego che non trova pace, se non nella guerra.