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Home » Opinioni

Renzi di nuovo con il centrosinistra per le Regionali? No, grazie

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Domanda (ingenua) dell’uomo della strada. Conta ancora qualcosa il comune sentire, l’orientamento prevalente dell’opinione pubblica? O è ridotto ad una fastidiosa incombenza della quale i partiti farebbero volentieri a meno? Riportata all’attualità politica la domanda suona meno retorica e più corposamente opportuna. Tradotto in soldoni. Conta qualcosa nelle segrete stanze del potere il fatto che a livello locale e nazionale l’eventuale e purtroppo ventilato ingresso del pulviscolo centrista (Calenda Renzi, frattaglie varie) nell’edificanda alleanza di centrosinistra che andrebbe alla prova del voto reginale in Emilia Romagna, Liguria e Umbria, sia vista come il fumo negli occhi dalla stragrande maggioranza dell’elettorato progressista (Pd, 5 stelle, Avs)? E’ sufficiente scorrere i social media e leggere i commenti dei lettori per valutare che la stragrande maggioranza degli elettori ritiene una jattura la sciagurata ipotesi di inglobare gli irrilevanti partiti centristi, reduci dalla scoppola delle Europee e in cerca disperata di spazio politico purchessia.

Non si vede perché la gamba centrista dovrebbe assicurare l’agognata vittoria al centrosinistra. Anzi. Dovrebbe essere chiaro che le sconfitte elettorali maturate a livello locale cominciarono proprio in Liguria con la sconsiderata candidatura di Raffaella Paita, promossa da Claudio Burlando nel 2015, passepartout per l’ingresso al potere di Giovanni Toti. L’elettorato progressista chiede più sinistra e scelte politiche nette e non un guazzabuglio di posizioni e orientamenti destinati – lo si è visto mille volte – a franare una volta arrivato al potere, vittima delle differenze insanabili fra alleati che poco o nulla hanno da spartire.

Carlo Calenda perlomeno ha avuto il coraggio di dire come la pensa. Ha dichiarato durante la sua recente visita in Liguria di essere indisponibile ad allearsi con i giustizialisti e con chiunque non sia favorevole alle Grandi opere. E ha aggiunto, a scanso di equivoci, che il Pd è stato graziato dai giudici che hanno indagato Toti e che anche il partito di Schlein aveva interessi nel porto di Genova. “Non andava soltanto Toti sullo yacht di Spinelli”, ha detto Calenda, sul punto con qualche ragione. O sciò Aldo, storico amico di Burlando, era corteggiatissimo dalla politica… Il leader di Azione si è chiamato fuori da sé, rifuggendo dalla tentazione di intrupparsi in una alleanza per lui innaturale. A Renzi, ex sodale e oggi avversario, Calenda ha riservato una stoccata velenosa: “Sarebbe capace di allearsi persino con Casapound”.

Nel frattempo il senatore di Rignano, inspiegabilmente intervistato a tutta pagina dal Corriere della Sera (lui e il suo stitico 2%) se la canta e se la suona. In sintesi: Scordammoce ò passato, è tempo di guardare al futuro e Italia Viva è pronta a saltare sul carro progressista, persino a viaggiare in compagnia con il detestatissimo Giuseppe Conte. Il leader dei 5 Stelle, alle prese con le convulsioni di Beppe Grillo e dei suoi fedelissimi, ha già rimandato la profferta renziana al mittente e altrettanto hanno fatto Bonelli e Fratoianni per conto di AVS. Elly viceversa non si sbilancia, manda avanti Orlando – candidato in pectore in Liguria, salvo sorprese sempre possibili – e resta a guardare.

Mi rifiuto di pensare che la segretaria del Pd ignori le malefatte politiche commesse dall’ex premier, la più clamorosa lo sgambetto al governo Pd-Cinque Stelle che spalancò la strada al Migliore, al secolo Mario Draghi con gli esiti poi visti: strada spianata a Meloni e ai suoi reggicoda di destra e Italia ai margini dell’Europa, servilmente accodata al mainstream guerrafondaio della Nato. Bel risultato, non c’è che dire.

In un Paese normale Matteo Renzi sarebbe fuori dai giochi, avendo mancato la parola data di ritirarsi dalla politica se avesse perduto il referendum del 2016 – e nessuno dei miei cosiddetti colleghi osa ricordarglielo. Invece è sempre fra i piedi. Amico di Mohamed bin Salman e Tony Blair, conferenziere a gettone, pur conservando il laticlavio e relativi benefit (una roba da rabbrividire, in democrazia!) ai impalca a maitre à penser della sinistra, distribuisce patenti di agibilità, indica prospettive politiche, proprio lui che da dieci anni non vince un’elezione, rectius le perde tutte ed è ridotto al lumicino con i fantasmi di Italia Viva.

Ha votato tutte le porcherie destrorse del governo Meloni – compresa la riforma costituzionale che ricalca, peggiorandola, la sua già bocciata dagli italiani – è “garantista” al limone (con i suoi però, difatti aveva difeso Toti) e prova a farci credere di essere di sinistra, moderata s‘intende, riformista (de che?) mentre è un cuculo che svolazza qua e là, e si incunea nei nidi altrui e fa fuori le uova che ci trova per deporre le sue. Non vi è bastato? Quali altre prove vi servono per aprire gli occhi? Si sa che Renzi può contare sulle quinte colonne all’interno del Pd, Bonaccini, Guerini, Delrio, lasciate a presidiare la segreteria Schlein e a tenerla sotto controllo, che non scivoli a sinistra.

Una buona volta: il Pd si decide a diventare un vero partito progressista o si accontenta di restare un ircocervo ibrido e indigeribile, in balia delle contingenze, renitente a qualsiasi presa di posizione netta, chiara e definitiva? Le prossime elezioni regionali ci daranno la risposta. Nel frattempo l’opinione pubblica si è espressa e ha fatto pollice verso agli ex gemelli del centro, che penosamente si disputano quei pochi voti che restano, illudendosi di restare decisivi. Schlein, il suo silenzio è assordante e semina cattivi pensieri.

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