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Gli ultimi expat: il Regno Unito tornato Labour visto con gli occhi di due italiani

Immagine di copertina
Credit: Unsplash

Fabio ringrazia il cielo di essere arrivato prima dell’uscita del Paese dall’Ue. Noemi fa i conti col carovita e spera che le opere di Banksy non arrivino anche nel suo quartiere facendo lievitare i prezzi

Sono le 17.30 ad Ashbourne, nelle Midlands orientali. Piove. Il tipico clima inglese. Sharon, la suocera di Fabio, ha preparato la merenda: gli scones fatti in casa, dei paninetti farciti con clotted cream e marmellata, classici dolci del rito del tè. 

Le figlie di Fabio corrono sul prato verde e bagnato dalla pioggia, indossano i k-ways ma sono a piedi nudi. Vanno a ripararsi in una delle due “casette segrete” costruite in giardino, entrambe assemblate dalla nonna per le nipoti con delle assi di legno. Ora le bimbe stanno dipingendo nella “casetta segreta”, hanno a disposizione fogli sparsi, cartoncini e tele. Sono in piedi davanti a un comodo tavolo pieno di tempere e brillantini. Sembrano felici, libere di sporcarsi e di sporcare.

Biondissime tutte e due, le figlie di Fabio non parlano una parola d’italiano. «Abbiamo sempre parlato inglese in casa e ora mi sento in imbarazzo a parlare la mia lingua in famiglia». 

Fabio sospetta comunque che le figlie in realtà, l’italiano, lo sappiano parlare ma non lo facciano per pigrizia. «Faccio mea culpa: in Italia le ho portate poco. Anche quest’anno non siamo scesi per le vacanze perché muoversi in quattro in aereo è troppo caro e in più qui la scuola chiude solo per un mese, da fine luglio a fine agosto». E di prendere le vacanze fuori dal calendario di chiusura non se ne parla: «In Inghilterra infatti non puoi mancare da scuola (o dall’asilo) per più di tre giorni l’anno, altrimenti ai genitori è chiesto di pagare una multa: 60 pound ciascuno!». 

Scelte di vita
Fabio ha quarantatré anni e da quindici vive vicino a Manchester. Da qualche giorno è in vacanza a casa della suocera Sharon nelle Midlands orientali. Si trasferisce qui ogni anno ad agosto per un paio di settimane, con la moglie Kate e le due figlie piccole. 

Siamo alle porte di Ashbourne, paese di settemila abitanti tra le verdi e ventilate colline d’Inghilterra. Il centro abitato più grande nelle vicinanze è Nottingham. Londra dista tre ore in macchina. Da queste parti, nella contea del Derbyshire, è pieno di fattorie e allevamenti. 

Ashbourne è conosciuta in Inghilterra per la Royal Shrovetide Football, una partita di calcio medievale molto movimentata. L’evento goliardico si tiene ogni anno e il gioco prevede che vi siano due squadre composte dagli abitanti di Ashbourne: gli Up’ards e i Down’ards, i nati a nord contro i nati a sud del fiume Henmore. Per vincere, le squadre devono segnare un autogol passandosi la palla di mano in mano fino a raggiungere una delle porte nascoste in città e spesso collocate a distanza di chilometri l’una dall’altra. 

Da queste parti prima c’era solo campagna, ora invece c’è un’ordinata fila di villette dai mattoncini rossi, ciascuna col proprio vialetto, posto auto, cortile e cancelletto. 

La casa di Sharon (la suocera di Fabio) è una di queste. La villetta è deliziosa. Due bei prati verdi all’inglese la circondano. L’erba è talmente ben tagliata che viene voglia di rotolarcisi come infatti fanno sempre le nipotine. Dappertutto fiori e fiorellini variopinti spuntano dal terreno e da contenitori di qualsiasi tipo e forma. Un robusto albero di fico abbraccia il cornicione della porta d’ingresso «ma i fichi sono ancora piccoli nonostante sia agosto», specifica Fabio. Lo stesso vale per le piante di pomodoro che crescono robuste lungo la staccionata del giardino: «I pomodori ci sono ma sono ancora verdi. C’è poco sole». 

Fabio di ortaggi se ne intende. Siciliano d’origine, suo nonno era un contadino: «Con lui andavo per campi. Mio padre invece ha sempre lavorato come chef in Sicilia, nelle cucine di ristoranti e alberghi. Io sono arrivato in Inghilterra dopo essermi laureato in Scienze politiche in Italia». 

Fabio ha iniziato a studiare tardi: «Non avevo nessuna intenzione di iscrivermi all’università. Per anni ho pensato che avrei fatto la vita di mio nonno». E invece alla fine ha anche conseguito un master nel Regno Unito. «Il primo scoglio è stato quello della lingua. Poi, dopo due anni di studio, mi hanno assunto come venditore in una società che distribuisce prodotti commerciali, ho conosciuto Kate, ci siamo innamorati e abbiamo comprato una casa». 

Da giugno di quest’anno Fabio è senza un lavoro fisso. «Facevo su e giù tra l’Italia e l’Inghilterra. A casa non c’ero mai e poi sono nate le bambine… Così ho deciso di licenziarmi». Oggi lavora ad ore nella cucina di un ristorante. «Passo le giornate a friggere fish and chips, non è il massimo, diciamo che è una soluzione transitoria». 

Per il futuro Fabio ha altri progetti e un sogno. Alla stregua di molti connazionali nel Regno Unito, vorrebbe sfruttare la sua italianità e buttarsi nel settore culinario: «Vorrei comprare un camion-bar per fare street food: vendere pochi piatti italiani e rivisitarli “inglesizzandoli” un po’. Il mio obiettivo è creare un brand e portarlo col camion-bar a spasso per l’Inghilterra tra festival, concerti, eventi sportivi o nei periodi di festa quando c’è maggiore richiesta…». 

Sogni a parte, le cose per ora vanno abbastanza bene. Quasi ogni giorno Fabio stacca dal lavoro alle quattro del pomeriggio e va a prendere le figlie a scuola, mentre Kate, la moglie, ha un impiego pubblico ed è in smart working tre volte alla settimana. Al mese, guadagnano più o meno 6mila sterline in due. A sostenerli c’è il Child Benefit, previsto per i bambini fino ai 16 anni, a cui si aggiungono altre misure (destinate però ai redditi più bassi di quelli di Fabio) come la Child Tax Credit e l’Universal Credit. La prima è una forma di supporto finanziario per nuclei con redditi bassi o medio-bassi, la seconda un sostegno finanziario che copre le necessità quotidiane come l’affitto, cibo, le bollette della luce e del riscaldamento. 

Fabio si definisce un esponente della classe media in Inghilterra. Il suo reddito è sufficiente per vivere bene, ma senza grandi spese o viaggi. Si può permettere dieci giorni di vacanza all’estero l’anno con la famiglia (quest’anno sono stati in Spagna al mare), il mutuo, una macchina, crescere due figlie e un cane (Bowie, ha tre mesi e in questo momento gioca felice in giardino).

«L’Italia mi manca ma, se fossi rimasto, non è detto che sarei riuscito a costruire tutto questo. La mia fortuna? Essere arrivato qui molto prima del caos della Brexit». 

Da qualche anno in Inghilterra è diventato difficile fare il cameriere o l’infermiere con una laurea conseguita in Italia. Fosse arrivato oggi, Fabio forse non ce l’avrebbe fatta. 

Tensioni sociali
Nel Regno Unito, i connazionali sono 700mila (350mila registrati come residenti all’estero). L’età media è di 37 anni e di questi circa 200mila hanno meno di 30 anni. 

I dati li ha ufficializzati il console generale Domenico Bellantone, che in un’intervista a Il Messaggero ha spiegato come ora «arriveranno quasi solo lavoratori dell’alta ospitalità, della ricerca scientifica qualificata, del management alberghiero e del settore finanziario». 

Con l’entrata in vigore del cambio di soglia per ottenere il visto, previsto dalla legge anti-immigrazione dell’ex premier britannico Rishi Sunak, le cose si sono fatte ancora più difficili: è infatti aumentato lo stipendio minimo necessario per rimanere nel Paese. Servono almeno 38.700 sterline l’anno, circa 45mila euro. Se non si raggiunge la soglia, non si ottiene il visto. 

Secondo alcuni osservatori, con il Labour di Keir Starmer al governo si prospetta un cambio di passo. Pur non cercando il rientro nel mercato unico, il neo-premier laburista mira a ridurre le restrizioni commerciali tra Inghilterra e Unione europea, semplificare i controlli agroalimentari e facilitare il reciproco riconoscimento delle qualifiche professionali. 

In molti, come Fabio, ci sperano. Infatti, è proprio in zone come Ashbourne, nelle Midlands e a Nord che, nel luglio del 2024, i laburisti hanno riguadagnato il terreno perso negli anni precedenti, vincendo le elezioni dopo anni di dominio dei conservatori. 

In queste zone, Starmer ha condotto parte della campagna elettorale puntando a catalizzare l’ondata di malcontento contro il Partito Conservatore, soprattutto nelle Contee storicamente laburiste dove, nel 2019, sfondò Boris Johnson. 

Cinque anni dopo, i Tories affrontano una fisiologica crisi. La caduta di Johnson, seguita dal breve mandato di Liz Truss, ha lasciato un vuoto che l’ex premier Rishi Sunak, nonostante tutto, non è riuscito a sanare. 

Ci riusciranno i laburisti? Certo è che Starmer non deve aver passato un’estate rilassante: tutti a tirargli la giacchetta. La partita più calda è quella dei pensionati e delle classi medio-basse terrorizzate da un eventuale aumento delle tasse. Inoltre da più di un anno le Unions inglesi sono mobilitate e chiedono l’aumento dei salari contro l’inflazione. Insegnanti, infermieri, medici, ferrovieri, autisti: sono un po’ tutti a protestare. Il Governo risponde come può. 

Cronologicamente, i primi ad avere ottenuto un risultato sono stati gli insegnanti. Tra luglio e agosto, l’esecutivo ha disposto un aumento dello stipendio dei prof inglesi del 5,5%. 

Ma la vertenza più critica sul tavolo è quella promossa dal sindacato del trasporto. Da settimane è in corso una fitta trattativa con le organizzazioni dei lavoratori. L’Aslef, che rappresenta i conducenti di treni, ha annunciato un piano di scioperi da fine agosto a novembre su alcune linee ferroviarie ma sembra che in queste ore si stia arrivando a un accordo. Il premier però deve fare in fretta: scioperi e manifestazioni prolungati portano disservizi e questo pesa sull’opinione pubblica. 

Sulla stampa inglese c’è poi chi si domanda fino a dove si spingeranno i laburisti. Scendere a patti con tutte le categorie sindacali non si può – osservano gli analisti di destra – anche perché «prima o poi i soldi finiranno».

Tutto è più caro
Oggi è il 14 agosto e a Londra fa caldo. Noemi arriva a piedi. Abbiamo appuntamento sulla Brick Lane, una strada lunga un chilometro nella zona est della città. Siamo a Shoreditch e questa via è ormai nota anche ai turisti. 

L’area si è sviluppata a partire dagli anni Novanta ed oggi è considerata di tendenza specialmente perché nel giro di pochi metri si possono scovare diversi lavori dello street artist Banksy, che nel mese d’agosto si è dato molto da fare seminando varie opere in bianco e nero per Londra. Le ultime apparse in ordine cronologico, una dopo l’altra, sono: uno stambecco in bilico a Kew Bridge, una capra, due elefanti all’interno di due finestre nel quartiere Chelsea, tre scimpanzé, un lupo che ulula alla luna (poi rubato) e infine tre silhouette di scimmie che dondolano sotto un ponte ferroviario sulla Brick Lane, proprio davanti a noi. 

Noemi le scruta da vicino, poi si allontana e percorre a piedi un tratto di strada per guadarle da lontano. La nuova serie di Banksy è stata ribattezzata «London Zoo». Ogni opera è stata pubblicata dall’artista sempre allo stesso orario sul suo profilo social. Nella poetica dello street artist gli animali sono metafore: i topi della condizione umana, le scimmie della stupidità, gli elefanti del problema che non vogliamo vedere. 

La domanda, in questi giorni, è: che significato hanno questi murales? A Londra se ne discute nei bar e sui giornali. Secondo molti il riferimento è alle proteste anti-immigrazione e agli estremisti di destra che nei primi giorni di agosto hanno messo a ferro e fuoco alcune città dell’Inghilterra in seguito all’accoltellamento di tre bambine a Southport e alla diffusione di una fake news circa l’identità dell’assassino. 

La Pest Control Office, la società che si occupa di autenticare le opere dell’artista, ha però chiarito che tale spiegazione è vera a metà. In un momento in cui il Paese affronta i riots anti-immigrazione, Banksy starebbe provando a rallegrare gli inglesi e distrarli «con un attimo di divertimento inaspettato». 

Ma c’è poco di cui rallegrarsi. Noemi, ventisette anni, italo-americana laureata in grafica nel Regno Unito, spera che l’artista «non lasci mai una sua opera sui muri del mio quartiere altrimenti arrivano i turisti e i radical chic». Ogni volta che passa Banksy da un quartiere di Londra «i prezzi delle case schizzano e fare la spesa diventa più caro». 

Il tema è sempre quello: la crisi economica. Nonostante i dati dicano che l’Inghilterra è uscita dalla recessione nel maggio del 2024, continua a serpeggiare il timore che l’economia vada male. Gli inglesi soffrono l’inflazione e il costo della vita è alto. 

«Lavoro per un’associazione che si occupa di salute mentale. Guadagno 2.700 pound al mese ma con questo stipendio riesco a pagare l’affitto, fare la spesa e poco altro. A Londra un gelato costa quasi 4 pound e a pranzo l’unica soluzione per risparmiare è una vaschetta di food preconfezionato nel reparto frigo del supermercato: riso, sushi e ceci a poco meno di 6 pound, da consumare sulla panchina o al parco». Non solo. Sembra infatti che le cose nei prossimi mesi possano anche peggiorare. 

Rientrando dalle ferie (che probabilmente non ha fatto), lo stesso premier laburista ha annunciato l’avvento di un autunno «lacrime e sangue». Il Governo sta preparando la finanziaria di ottobre: «Dovremo accettare sofferenze di breve periodo per stare meglio in futuro», ha detto Starmer. 

L’esecutivo in carica se la prende ovviamente con i conservatori che, come ha detto la ministra delle Finanze Rachel Reeves, «hanno distrutto l’economia e ci hanno lasciato in eredità un buco di 22 miliardi di sterline nelle finanze pubbliche». 

Ma dare addosso al precedente governo già non basta più. A leggere i quotidiani inglesi sembra infatti arrivato per Starmer il momento di fare chiarezza: in che modo stabilizzerà l’economia? Come sanerà il buco nelle finanze senza indispettire gli elettori spaventati dall’avvento dell’austerità? 

Se lo chiede anche Noemi, che da qualche mese sogna di fare famiglia e comprarsi una casa nel quartiere Hammersmith di Londra. Sperando che Banksy resti alla larga.

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