“La Lombardia è pronta a ripartire”: l’ennesimo spot (pagato dai cittadini) per nascondere i fallimenti del modello lombardo
Con 14mila morti e ancora 600 pazienti in terapia intensiva, la Regione realizza un video cui si dice pronta a "ripartire". Cosa sia esattamente pronta a fare la Lombardia in una situazione del genere resta, a tutti gli effetti, un mistero
Coronavirus: la Regione Lombardia lancia un video spot in cui si dice pronta a “ripartire”
Al primo impatto, sembra uno di quei video motivazionali che certe aziende particolarmente “smart” costringono i propri dipendenti a vedere per aumentare produttività e fare team-building. In realtà, si tratta solo dell’ennesimo, goffo, tentativo di rilancio d’immagine da parte di una regione, la Lombardia, e di una giunta, quella leghista, che dall’inizio dell’emergenza non ne ha azzeccata una: un filmato di 79 secondi, prodotto da Regione Lombardia, e pagato interamente coi soldi dei cittadini, in cui il messaggio che viene lanciato, dall’inizio alla fine, è sempre lo stesso: “La Lombardia è pronta. Adesso è il tempo di ripartire”.
Un lavoro tecnicamente anche curato, persino coinvolgente in alcune sue parti, se non fosse che stiamo parlando di una regione che mercoledì, quando il video è stato lanciato sui canali ufficiali tra squilli di tromba, contava ancora 200 decessi al giorno (oggi sono ancora un centinaio ogni 24 ore) e che tutt’oggi ha oltre 600 malati Covid ricoverati in terapia intensiva (più di un terzo del totale italiano) e che si prepara tristemente a superare i 14.000 morti complessivi. Cosa sia esattamente pronta a fare la Lombardia in una situazione del genere resta, a tutti gli effetti, un mistero.
Di quale ripartenza straparlano il governatore Fontana e il suo brillante team di comunicatori, quando il piano per la Fase 2 approvato pochi giorni fa in Consiglio regionale non ha fatto altro che riproporre, pressoché identiche, le stesse fallimentari strategie messe in campo dalla giunta nella fase 1: nessun passo avanti sui test sierologici; tracciamento inesistente; impossibilità pressoché totale per chi presenta sintomi di accedere al tampone (se non pagando); riduzione del numero di corse all’80% del totale, con inevitabili assembramenti quando le aziende riapriranno; addirittura nessun dispositivo di protezione individuale (come ad esempio il dispenser di gel disinfettante) previsto sui vagoni, come richiesto, invece, a gran voce dalle associazioni di pendolari. Se questa è la regione che si prepara a ripartire, c’è da cominciare a pregare la Madonnina. E la mente, inevitabilmente, torna, con un eco sinistro, alle tante campagne mediatiche e politiche “aperturiste” a cui abbiamo assistito in Lombardia nell’ultimo mese e mezzo, da parte di destra e sinistra senza distinzioni, i cui risultati sono drammaticamente sotto gli occhi tutti.
Tutto comincia il 27 febbraio scorso, a sei giorni dal primo caso a Codogno, quando un pallido arretramento del numero dei contagi accende la miccia per il più gigantesco errore di sottovalutazione politico e sanitario della storia repubblicana, che pagheremo a caro prezzo. Sono i giorni in cui il sindaco Beppe Sala lancia sui propri canali il famoso hashtag #MilanoNonsiFerma, in cui il segretario del Pd Nicola Zingaretti si mostra orgoglioso in un bar di Milano, Spritz in mano, dicendo letteralmente che “non si può distruggere la vita e diffondere il panico.” Sappiamo tutti com’è andata a finire. Ma sono anche le ore in cui il leader della Lega, Matteo Salvini, nella seconda delle sue infinite giravolte, grida il famoso: “Riapriamo tutto”. Una giostra di clamorosi errori e sottovalutazioni che ha un unico grande manovratore nemmeno tanto nell’ombra: quella Confindustria che, dall’inizio, ha fatto un pressing asfissiante sul governo per mandare avanti le fabbriche e che, a fine febbraio, in pieno galoppo del contagio, pubblicava video sconcertanti come “Bergamo is running”, nella città che pochi giorni dopo diventerà l’epicentro mondiale del Coronavirus. Ma nessuno ha superato in audacia e sprezzo del ridicolo il governatore Fontana e la sua giunta. Che ancora a metà aprile, nel culmine della tragedia, davanti a 11.000 morti e di fronte a una sequela di errori, gaffe e sciagure che non ha precedenti nella storia delle regioni, sono riusciti a spendere migliaia di euro – ovviamente pubblici – per comprare pagine pubblicitarie sui principali quotidiani italiani nelle quali celebrano il modello lombardo e si vantano di avere salvato 28.000 vite. E tutto – dicono – per merito della “sanità privata lombarda, assieme a quella pubblica.”
Una tale galleria di errori e orrori, associati a numeri che ancora non lasciano tranquilli, avrebbe suggerito a chiunque prudenza. E invece Regione Lombardia ha deciso ancora una volta di forzare la mano, di spingere sull’acceleratore di una illusoria e pericolosa retorica della “ripartenza” che rischia non solo di creare le condizioni per una nuova catastrofe sanitaria, ma anche di dare l’ultima, definitiva, mazzata su un’economia in ginocchio. Ripartire indiscriminatamente oggi, senza una strategia chiara e condizioni di sicurezza accettabili, provocherebbe nel giro di quindici giorni – a detta di tutti gli esperti – un rialzo della curva dei contagi, con conseguente nuovo lockdown e la possibilità concreta, per molte di quelle aziende, di non riaprire più. Per questo il video lanciato da Regione Lombardia non è solo miope, ma è anche irresponsabile e pericoloso. E, ancora una volta, con la stessa retorica usata da Matteo Renzi ieri in Senato, fa qualcosa di eticamente, moralmente e umanamente riprovevole: per decine di secondi indugia sulle immagini di malati, anziani, medici allo stremo, ambulanze, respiratori, lasciando passare il concetto – più o meno esplicitato – che oggi abbiamo il dovere di ripartire anche per loro, per i malati, per chi ha combattuto, per chi non c’è più.
Una frase, in particolare, ti colpisce verso la fine del video: “Ricordando ciò che abbiamo imparato”, accompagnata da una donna intenta ad indossare una mascherina. E, più la ascolti, e più guardi quelle immagini, più ti rimbalza in testa la sensazione nitidissima che no, non abbiamo davvero imparato nulla dal Cororavirus. E forse non impareremo mai.
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