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Perché votare Sì contro l’establishment e la monarchia editoriale (di Alessandro Di Battista)

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Illustrazione: Emanuele Fucecchi

Che i diritti e gli interessi degli italiani siano scarsamente rappresentati da organi o poteri dello Stato è fuori di dubbio. Tuttavia, che il problema della rappresentanza venga posto da molti solo ora, ovvero alla vigilia del referendum sul taglio del numero dei parlamentari, è ridicolo. Vogliamo ragionare sul serio della questione della rappresentanza in Italia? Benissimo, facciamolo a tutto tondo, non solo adesso che sono in pericolo le carriere di politici terrorizzati dall’imminente riduzione di poltrone a loro disposizione.

I politici italiani rappresentano idee e pulsioni dei cittadini che con il loro voto gli affidano l’onore di rappresentarli? Salvo rare eccezioni la risposta è no. E ciò non dipende dal numero degli eletti ma da due ormai preistoriche questioni che non sono state risolte: il ritorno alle preferenze e la soluzione dei conflitti di interessi. I parlamentari potranno essere 945, 600, 1500, 3500 ma fino a quando non verranno eletti direttamente dai cittadini ma nominati dalle segreterie dei partiti sempre pronte a premiare fedeltà e a punire l’indipendenza intellettuale, al Popolo verrà impedito di esercitare il potere ovvero il principio fondante della Democrazia resterà solo sulla carta.

Leggi anche: Referendum taglio parlamentari, le mie ragioni per votare No (di Luca Telese)

Inoltre fino a che non verrà impedito per legge a parlamentari o membri del governo di coltivare interessi personali accettando maxi-consulenze per loro o per i loro amici e familiari o barattando l’approvazione di una norma in cambio di una futura assunzione nel settore privato, la sovranità popolare resterà un concetto solo sbandierato durante le campagne elettorali. Sono soprattutto i conflitti di interessi a minare la possibilità da parte dei cittadini di vedersi riconosciuti quei diritti sanciti dalla Costituzione. La Costituzione garantisce la tutela del risparmio ma la commistione tra potere politico e finanza ha, negli ultimi 30 anni, colpito le tasche dei risparmiatori italiani. Tre degli ultimi cinque Direttori generali del Tesoro (Mario Draghi, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli), finito il loro mandato, hanno trovato lavori strapagati nelle grandi banche d’affari internazionali.

Non si tratta di un colpo inferto ai principi democratici? Ovviamente sì, ma i neo-sedicenti difensori della rappresentanza tacciono per timore di inimicarsi i potenti di turno. Lapo Pistelli, deputato ed eurodeputato di lungo corso nel 2015 si dimise da viceministro degli affari esteri per diventare Senior Vice President di ENI. È un altro esempio di conflitto di interessi e ne potremmo fare a centinaia. Il passaggio di giudici dalla magistratura al Parlamento non getta ombre sulla loro imparzialità? Davigo da decenni ripete che i magistrati non dovrebbero fare politica. Io credo che candidarsi sia un diritto di tutti ma lasciare la magistratura ed accasarsi in un partito politico dovrebbe essere, per legge, una decisione senza ritorno.

In passato ho attaccato spesso i sindacati. Li ritengo responsabili della riduzione dei diritti dei lavoratori proprio come molti partiti politici. Sia chiaro, reputo il sindacato un’istituzione vitale soprattutto in un momento di grave crisi occupazionale come questo (se riacquistasse etica e volontà sarebbe fondamentale nella partita del Recovery plan) ma gli innumerevoli atti di genuflessione di certi sindacalisti di fronte ai governi di turno, spesso contraccambiati con posti al sole in Parlamento, gridano vendetta. I lavoratori sono adeguatamente rappresentati da segretari che una volta lasciato il sindacato fanno carriera nei partiti? Sergio Cofferati e Guglielmo Epifani, rispettivamente quartultimo e terzultimo Segretario del CGIL sono diventati parlamentari. Così come Sergio D’Antoni, Savino Pezzotta, Franco Marini, Mauro Nobilia, Stefano Cetica e Renata Polverini. Tutti esimi segretari di sigle sindacali che in molti casi hanno lasciato la casacca di combattente per indossare quella di pompiere. Ovviamente ben retribuita.

Di tutto questo i paladini dei principi democratici a giorni alterni non parlano, in cambio definiscono il taglio dei parlamentari, tra l’altro votato in ultima lettura dal 97 per cento dei parlamentari della Repubblica, una deriva autoritaria, un atto reazionario, un abbattimento della rappresentanza, un attacco alla Costituzione. È singolare che si incensi la Costituzione solo adesso. I principi costituzionali sono ormai da decenni sotto attacco del grande capitale, della globalizzazione senza regole, dell’impero liberista ma pare che l’assuefazione a tutto questo abbia colpito molti.

“L’Italia ripudia la guerra” (art.11) ma non sono mancati gli interventi militari mascherati da missioni di pace. “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia” (art. 31) ma fare figli è diventata una missione e costa sacrifici inenarrabili. “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art. 36) eppure centinaia di migliaia di italiani sono costretti al doppio lavoro per sopravvivere. “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” (art. 34) ma le scuole paritarie continuano ad essere finanziate con denaro pubblico.

Eccola la Repubblica fondata sul lavoro dai nostri padri costituenti, una Repubblica zoppa, traboccante di ingiustizie, governata da una burocrazia che uccide il merito e dove, ripeto, i cittadini sono scarsamente rappresentati. Ma tutto questo pare non sproni alla lotta certi benpensanti quanto il taglio del numero dei parlamentari.

Ho letto che l’ex-tesoriere del PD Luigi Zanda, senatore da quasi 20 anni e neo-presidente della società editoriale “Domani” che pubblica l’ultima fatica dell’Ingegner De Benedetti, sia atterrito dalla possibile vittoria del Sì. Eppure il 4 novembre del 2008 presentò in Senato un disegno di legge di modifica costituzionale intitolato: “Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”. Cosa conteneva quel DL? Un taglio lineare di 345 deputati e 200 senatori, esattamente quel che voteremo il 20 ed il 21 settembre prossimi.

Se un taglio lineare lo propongono i professionisti della politica tanto cari a tutto il cucuzzaro liberal debenedettiano va bene. Se, al contrario, i promotori sono quei selvaggi grillini allora diventa un pericolo per la tenuta democratica del Paese.

Una delle battaglie che hanno reso celebre Zanda nel mondo è quella sul finanziamento pubblico ai partiti. Lo cito testualmente: “Cancellare il sostegno ai partiti è stato uno sbaglio dettato da un vento violento che soffiava in quella direzione”. No caro mio, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti fu una decisione presa dal popolo italiano con un referendum. Nel 1993 31 milioni di italiani (il 90,25 per cento di chi andò a votare) si espresse a favore dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti. Risultato? L’anno dopo i partiti trasformarono i finanziamenti in rimborsi elettorali spartendosi negli anni a venire 2,5 miliardi di euro.

Viviamo in un Paese dove persino gli esiti dei referendum vengono disattesi. Non è questo un enorme problema di rappresentanza? Il 12 e 13 giugno 2011 oltre 26 milioni di cittadini dissero no ai profitti sull’acqua. A distanza di 9 anni sull’acqua i privati fanno ancora profitto. In una democrazia cosa vi è più antidemocratico che eludere il risultato dei referendum? Per questi sepolcri imbiancati la riduzione del numero dei parlamentari.

Alle Sardine, pesci piccoli dell’establishment, tutto questo non interessa. Al contrario la sacrosanta rabbia popolare li infastidisce. Per costoro il popolo che si incazza perché persino quando vota in realtà non decide è troglodita. Guai a scagliarsi contro i pezzi grossi del sistema. I Benetton sono innovatori, gli Elkann mecenati che concedono loro spazi sui giornali, i De Benedetti strenui difensori della libertà di stampa. I grillini? Soggetti detestabili, nuovi barbari, analfabeti funzionali, pericolosissimi antidemocratici per aver difeso gli esiti dei referendum ed essersi occupati dei costi della politica.

Eppure un tempo i costi della politica erano un tema bipartisan e particolarmente gettonato dagli organi di stampa. Il Corriere della Sera diretto da Mieli sulla scia del best-seller La Casta di Rizzo e Stella portò avanti una campagna sugli sprechi dei palazzi. Anche l’Espresso dedicava copertine con titoli che oggi verrebbero definiti dallo stesso settimanale becera propaganda dell’anti-politica.

La verità è che, piaccia o meno, il Movimento 5 Stelle ha realizzato una pulizia etica all’interno delle Istituzioni che anche i detrattori o coloro che legittimamente criticano molte proposte grilline, dovrebbero ammettere. Ma non succederà mai. Certi volponi della carta stampata o della politica non essendo riusciti ad incidere sulle oscenità della casta preferiscono sminuire chi l’ha fatto. I tagli un tempo erano buoni e giusti, oggi sono dittatoriali, violenti, immaturi, acerbi, proprio come l’uva per la volpe nella favola di Esopo.

La monarchia editoriale degli Elkann si è schierata contro il taglio dei parlamentari. Dalle redazioni di Repubblica ed Espresso partono moniti sul pericolo democratico di un taglio del genere. “Così si distrugge la rappresentanza” insistono. Ma come si può parlare di rappresentanza se si fa parte di una impero mediatico che, nel silenzio assordante della sinistra nostrana, ha ampiamente superato quello berlusconiano?

I lettori sono adeguatamente rappresentati da giornali che appartengono ad editori impuri che li utilizzano non per informare ma per portare avanti interessi che con la diffusione di notizie hanno poco a che fare?

Il fatto che La Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, Il Tirreno, la Nuova Sardegna, Il Mattino di Padova, Il Messaggero veneto, Il Piccolo di Trieste, La Gazzetta di Mantova, La Gazzetta di Reggio, La Gazzetta di Modena, L’Huffington Post, Business Insider Italia, Mashable Italia, La Nuova Ferrara, La Nuova Venezia, Il Corriere delle Alpi e ancora L’Espresso, Limes, Micromega e poi Radio Deejay, Radio Capital e altre testate, radio, webTv e siti internet appartengano tutte alle stesso padrone, ovvero John Elkann, non rappresenta un pericolo per la libertà di stampa?

È vero, uno dei grandi problemi italiani è la rappresentanza, un diritto di noi cittadini logorato ogni giorno da migliaia di conflitti di interessi. I lavoratori hanno scarsa rappresentanza sindacale. I lettori non vengono adeguatamente rappresentati nelle redazioni dei giornali. Gli elettori votano ma poi assistono a biechi cambi di linea dettati più dalle convenienze personali che dalle contingenze. Gli interessi dei risparmiatori non verranno mai garantiti fino a che non vi sarà una reale separazione tra le banche d’affari e le banche commerciali e la trasformazione delle correnti dei magistrati in veri e propri centri di potere ha fatto perdere la fiducia nella giustizia. Si vuole davvero lavorare per rafforzare la rappresentanza? Ecco dove farlo!

Voterò Sì al referendum perché la questione della rappresentanza, come visto, è molto seria e non riguarda certo un taglio sacrosanto ai costi del Parlamento del quale, tra l’altro, si parla da 40 anni. Voterò sì perché un taglio del numero di parlamentari è indubbiamente un segnale di giustizia sociale dopo decenni di vessazioni. Voterò sì perché, come sostiene Lorenza Carlassare, il taglio potrebbe imporre al Parlamento l’approvazione di una nuova legge elettorale che ci dia la possibilità di scegliere deputati e senatori. Potrebbe, sia chiaro. I tentativi di bloccare il ritorno alle preferenze saranno infiniti. Ancor di più dopo il taglio. Politicanti di professione già in crisi per un numero inferiore di posti in Parlamento tremano ancor di più all’idea di dover chiedere ai cittadini una preferenza.

Ho sempre ritenuto la politica nei palazzi (diversa dalla politica fatta al di fuori), nella stragrande maggioranza dei casi, l’unica attività che si inizia a far peggio proprio quando si diventa professionisti. L’establishment la pensa diversamente. Dietro l’elogio della preparazione tecnica dei politici in realtà si nasconde un bieco tentativo di difendere proprio quei professionisti della politica che non hanno fatto altro che tutelare gli interessi dell’establishment.

Ecco, io credo che il sistema politico-mediatico-finanziario si stia schierando a favore del NO proprio perché il ritorno alle preferenze potrebbe ostacolare gli innumerevoli tentativi di cooptazione dei parlamentari. Se, al contrario, dopo il taglio di deputati e senatori, la classe politica dovesse tornare a difendere liste bloccate zeppe di nominati, l’establishment avrebbe vinto nuovamente. E questo sì che svilirebbe ancora il Parlamento. Altro che un taglio per anni bramato da chi oggi è sconvolto dall’idea di doversi trovare un lavoro.

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