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Referendum: delitto perfetto. O quasi (di M. Cappato)

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La primavera referendaria è stata soffocata senza spargimenti di sangue. Chi andrà al seggio domenica non troverà le schede degli unici due referendum di iniziativa popolare, quelli su Eutanasia e Cannabis, fatti fuori dalla Corte costituzionale.

Mandanti e esecutori materiali non saranno chiamati a risponderne, almeno nell’immediato.

Se si fosse votato anche su quei referendum, l’Italia sarebbe già un Paese diverso. Non perché la legalizzazione dell’eutanasia e della cannabis possano da sole rivoluzionare il mondo, ma perché sarebbe rinato un entusiasmo da tempo sopito per i fatti della polis, cioè per la politica.

A meno di credere che quei referendum fossero davvero “inammissibili” o “scritti male” (i quesiti erano perfetti) bisogna chiedersi perché le cose siano andate così.

Il costituzionalista Michele Ainis, pochi giorni prima del giudizio della Corte Costituzionale, scrisse che la sentenza sarebbe stata comunque “politica”, sia in caso di ammissibilità che di inammissibilità. I criteri inventati dalla Corte nei decenni le hanno attribuito il potere di far fallire o salvare qualsiasi referendum arbitrariamente, a seconda delle convenienze.

I partiti che avevano il maggiore interesse a far fallire i referendum -incluso sulla giustizia – erano quelli di centrosinistra.

Votare su eutanasia e cannabis li avrebbe costretti a scegliere se stare dalla parte dei propri elettori o da quella del Vaticano. L’affluenza al voto avrebbe anche consentito di raggiungere il quorum sul pacchetto giustizia, osteggiato dalla corporazione dei magistrati. Un doppio disastro. Anche a destra non avrebbero visto di buon occhio l’idea di perdere sui diritti civili, seppure con parziale soddisfazione sulla giustizia.

La decisione della Corte è stata provvidenziale.

Non sto sostenendo che si siano riuniti una notte sotto qualche cavalcavia Letta, Conte e Meloni per consegnare  gli auspici propri e della Conferenza Episcopale Italiana nelle sottili mani di Giuliano Amato.

Su certe cose non serve parlare per capirsi. Un delitto perfetto, dunque. O quasi.

La realtà sociale che hanno voluto cacciare dalla porta principale della democrazia rientra dalla finestra della società, dall’urgenza di chi vive quel problema sulla propria pelle. Come Fabio Ridolfi, costretto a scegliere la sedazione profonda a causa del “menefreghismo” del sistema sanitario. Oppure “Mario”, il quale finalmente ha ottenuto il via libera anche sul farmaco per il suicidio assistito e ora può decidere. Nel frattempo, il Parlamento rimane paralizzato sia su fine vita che su cannabis, consumando ancora di più la credibilità dei partiti che andranno a chiederci il voto tra pochi giorni in alcune città e tra pochi mesi in tutta Italia. Non sarà la Costituzionale a poter riportare loro stima, interesse, attenzione.

Il delitto anti-referendario nell’immediato è stato perfetto.

Col tempo le conseguenze saranno imprevedibili, anche per chi l’ha compiuto.

PS, al seggio lascerò a verbale, insieme ad altri, questa dichiarazione: “Non mi sarà permesso di votare i referendum in materia di eutanasia e di cannabis, promossi per la prima volta dopo oltre 10 anni con le firme dei cittadini, perche la Corte costituzionale li ha dichiarati inammissibili con motivazioni arbitrarie e in contrasto con quanto previsto dall’articolo 75 della Costituzione, anticipando un giudizio di merito sulla legge oggetto del referendum. Questa ennesima manipolazione della Costituzione da parte di chi dovrebbe garantirne il rispetto va contro gli obblighi internazionali della Repubblica italiana e prefigura una violazione dei diritti civili e politici di tutti i cittadini del nostro Paese.”

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