I ragazzi di Caivano: ecco perché noi abbiamo deciso di ascoltare (di G. Gambino)
Come sanno i nostri lettori, lo scorso numero abbiamo scelto di dare voce a chi non ce l’ha: ai ragazzi di Caivano. Di cui da mesi tanto si racconta, ma poco si conosce.
Lo abbiamo fatto affidando la copertina, il nostro affaccio sul mondo, al disegno di uno dei giovani che hanno scelto di farci dono dei loro pensieri.
Abbiamo continuato all’interno con il racconto di dieci storie, di ragazze e ragazzi del Parco Verde.
Infine, ma come vedremo non è la fine del nostro viaggio, abbiamo deciso di recarci di persona in uno dei pochi luoghi di sana aggregazione del quartiere: l’Istituto Superiore “Francesco Morano”, presieduto da una donna coraggiosa, Eugenia Carfora.
L’occasione ha suscitato anche l’interesse di “Storie italiane”, la trasmissione di Rai1 condotta da Eleonora Daniele, che ha voluto testimoniare la nostra visita con un collegamento in diretta dal posto. A lei e alla sua redazione vanno i nostri ringraziamenti.
Lara Tomasetta, Stefano Mentana ed io siamo stati felici di aver passato a Caivano una delle prime mattinate del nuovo anno scolastico, perché l’intento principale di questa nostra iniziativa è stato duplice: da un lato saper ascoltare, cosa che molto spesso – purtroppo – i media non fanno; dall’altra approfondire.
Uso questi due verbi non a caso, perché ascoltare è necessario, soprattutto nella voragine creatasi dopo il terribile fatto di cronaca accaduto in agosto.
È necessario ascoltare. Ascoltare. Ascoltare. Ascoltare. Parlare meno e ascoltare. Ascoltare, in primis, le esigenze delle persone, delle ragazze e dei ragazzi che a Caivano sono nati, vivono, studiano e sognano (o almeno ci provano).
Oltre a ciò, bisogna saper approfondire: stare, restare, andare e tornare, ancora rimanere per poter capire cosa (e quanto) noi, che siamo fortunati a vivere una realtà più garantita, possiamo restituire alle donne e agli uomini del Parco Verde.
Ragazzi e ragazze cresciuti in un quartiere che prima del 1985 non esisteva, nato per mano di uno Stato che, promulgando una legge per dare un tetto ai terremotati dell’Irpinia, non si è minimamente preoccupato di costruire una rete sociale. Come al solito: lo Stato si alleggerisce la coscienza costruendo un tetto e poi se ne lava le mani, perché è faticoso stare lì, prevenire, e ove mai necessario anche curare.
Circa seimila sfollati provenienti dalle zone più difficili di Napoli e dintorni, protagonisti/vittime loro malgrado di una delle più grandi speculazioni edilizie del nostro Paese, si sono ritrovati a vivere in queste condizioni.
Un quartiere, nato con il peccato originale, divenuto tristemente noto per i terribili fatti di cronaca che lì si sono consumati: la morte della piccola Fortuna Loffredo nel 2014 e i più recenti stupri, appunto. Ma sono solo la punta dell’iceberg.
Le forze dell’ordine presenti in massa a Caivano in queste ore sono la dimostrazione muscolare, all’eccesso, di un governo fragile. E se fossero state presenti, in misura anche più modesta, sin dall’inizio?
Noi oggi abbiamo scelto di mettere da parte le affermazioni, parziali e non oggettive, e abbiamo preferito ascoltare.
Senza doppie morali o soluzioni preconfezionate. Senza le facili ricette di chi pensa che un blitz a favore di telecamere possa risolvere problemi atavici. Perché anche quello equivale a parlare (con le sirene e le pistole) anziché ascoltare.
Siamo tornati qui oggi per ascoltare, ascoltare, ascoltare e poi restare, tornare e fare un patto con tutti gli studenti, le studentesse, la Preside dell’Istituto: perché è di fondamentale importanza costruire un ponte culturale con un mondo che diversamente, agli occhi di questi studenti, appare terribilmente lontano.