Questo editoriale non ha un titolo (di G. Gambino)
Questa settimana ho una proposta da sottoporre a voi lettori: immaginate un giornale fatto solo di testo, senza titoli. Direte voi: perché mai privarsi di un importante elemento giornalistico in grado di scandire la gerarchia dei contenuti e attirare la vostra attenzione?
La mia idea, volutamente provocatoria, nasce dal fatto che da qualche anno, sempre più spesso, i giornali sono fatti di titoli e sempre meno di articoli. A tal punto che i titoli (brevi per definizione) finiscono per essere più importanti e certamente discussi del contenuto del testo stesso.
Il fatto che un titolo faccia discutere è normale, è così da sempre; in qualche redazione si direbbe che un titolo che non genera dibattito non è un buon titolo, e che quindi è bene se crea polemiche o se attira critiche.
Nella società di oggi, bombardata dall’iper-informazione, i titoli sono essenziali, una guida e uno stimolo alla lettura. Sarebbe impensabile pensare di farne a meno.
Ma, posto che la maggior parte dei lettori, sui social e sui giornali di carta, legge volentieri solo il titolo di un articolo, val la pena esercitarsi a cominciare dal testo, e non dalla titolazione, per concludere che i titoli sono estremamente sopravvalutati.
Pensateci: nei giornali il pensiero di chi scrive o di chi è intervistato viene sintetizzato e poi ri-formulato da chi quel pezzo non lo ha scritto e da chi magari ha a malapena letto l’intervista.
Così capita che il dirigente politico, l’amministratore delegato, il personaggio celebre o l’opinionista si ritrovino a dover spiegare e a giustificare il titolo di un articolo che li riguarda. Titolo dal quale prenderanno ovviamente le distanze, adducendo come spiegazione l’incapacità del titolista (o peggio la volontà di far apparire quel messaggio in modo distorto) e rimandando perciò a questo o quel virgolettato dell’articolo in grado di fugare ogni dubbio o malinteso. Può succedere a tutti di sbagliare in buona fede: sia a chi titola re-interpretando il messaggio senza che di quelle parole vi sia traccia nel testo, sia a chi invece quella frase l’ha detta veramente e subito dopo se ne è pentito.
Sul web, poi, il titolo ha assunto una funzione oltremodo problematica e dibattuta, tanto da chi titola quanto dai lettori. È vero: esistono on line titoli che travisano completamente l’articolo, o addirittura se ne inventano il contenuto («Ecco la vera soluzione alla crisi ucraina») salvo poi trovare nulla di quanto si è promesso nella titolazione. Ma va detto che esiste una pregiudiziale, insita e fortissima nel lettore del web, a tal punto che ogni legittima forma di titolo sexy (per quale motivo un pezzo dovrebbe promettere di essere noioso?) viene tacciata di click-baiting.
Il dibattito sui titoli di giornale è interessante sotto molti punti di vista: può sembrare sciocco e banale discuterne, ma è ciò che in larga parte determina la nostra percezione dell’informazione.
E beninteso non importa, qui, indagare la responsabilità di questo o quello sulla titolazione di un pezzo ma, se mai, il fatto che le controversie che ne scaturiscono riflettono l’ansia di una società appesa in tutto e per tutto a quattro-cinque parole che compongono un titolo, appunto. E la necessità di conoscere il messaggio in breve, tutto e subito, quasi mai avvertendo il bisogno di approfondire il concetto e la riflessione che vi sono dietro.
Per questo motivo l’editoriale di questa settimana è senza titolo. Non certo perché non abbia nulla da dire ma perché il titolo tradisce e distorce necessariamente il senso delle cose. Il ché non significa che bisogna farne a meno in assoluto. Il consiglio per voi lettori è semmai di andare oltre il titolo, e non perché vi sia necessariamente qualcosa di più profondo o interessante da conoscere ma perché un titolo non è, e non sarà mai, esaustivo del contenuto che state per leggere. Spesso e volentieri è una frase a effetto per colpire il lettore o un virgolettato mai realmente espresso in quella forma ma sintetizzato all’estremo.
Questa non vuole certo essere una excusatio non petita poiché capita esattamente lo stesso anche a noi su questo giornale, quanto piuttosto l’invito a dare volutamente molta meno importanza ai titoli e a leggere il resto del testo. Se poi non piace, si può sempre soprassedere e passare al prossimo pezzo. Mal che vada avremmo lettori in ogni caso più informati.