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Alla prossima emergenza si rischia la rivolta (di M. Ainis)

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"Ormai ci siamo assuefatti alle notizie sul Covid e la guerra, retrocesse persino dai telegiornali. Ma come diceva Esopo, alla bonaccia segue sempre una tempesta"

Si respira un’aria immobile, stantia. Come in certe giornate senza vento, con una nuvolaglia che scherma l’orizzonte. E un sopore collettivo – uno stato d’inerzia e di apatia – sta invadendo gli italiani. La politica, al contrario, usa toni concitati, in questa breve vigilia elettorale. Ciascun leader di partito sgomita, si sgola, rimbecca gli avversari, detta elisir per guarire tutti i nostri mali. Noi, quaggiù, non gli prestiamo ascolto. O meglio: all’inizio forse sì, per curiosità se non per interesse. Ma alla seconda o terza replica cambiamo canale, d’altronde alle parole dei politici non crede più nessuno. E in che crediamo, invece? Difficile rispondere.

C’è stato un tempo in cui abbiamo creduto di doverci difendere da un virus letale, e lo abbiamo fatto tutti insieme, disciplinatamente, anche a costo d’accettare gli arresti domiciliari decisi dal governo. In quel tempo siamo stati un popolo, coeso, solidale, congiunto dal medesimo destino. E la mascherina obbligatoria ci inoculava un sentimento d’eguaglianza, celando in egual misura il faccione dei potenti e il viso smunto dei diseredati. Ma è durato poco, quanto la fiamma d’un cerino. Del resto la tensione etica è come quella erotica: non puoi protrarla a lungo, il corpo si ribella. Sicché adesso fingiamo che il virus non esista, anche se è sempre lì, in agguato, col suo bollettino quotidiano di decessi.

Succede lo stesso per la guerra, per il rombo di missili e cannoni in Ucraina. All’inizio ci procurava un senso di terrore: il rischio nucleare mai così vicino, un pezzo d’Europa in fiamme come non era più accaduto dopo Hitler, lo scontro fra superpotenze, i barbagli della terza guerra mondiale. Svanita anche quest’ultima paura, o comunque rimossa, allontanata. Le notizie dal fronte sono state retrocesse nei giornali e nei tg, tanto ormai non le segue nessuno, abbiamo altro a cui pensare. Al clima, forse? Alla siccità, al surriscaldamento del pianeta?

Dovrebbe essere l’emergenza più emergente, ma è un argomento tabù, espulso dalla campagna elettorale. E allora pensiamo ai fatti nostri, alle bollette da pagare, ai mutui in salita, al lavoro che trovi solo comprando un biglietto aereo per l’Australia. E magari speriamo che dei nostri guai s’occupi il governo, sennò che ci sta a fare? Ma il governo c’è e non c’è, in questo interregno fra due legislature. Ha poteri dimezzati, circoscritti all’ordinaria amministrazione, alla gestione quotidiana delle cose. Perché è dimissionario, d’altronde s’è dimesso pure il Parlamento. Però interviene nei casi d’urgenza, questo sì, può farlo. L’impressione è che Draghi faccia un po’ come gli pare.

Se non vuole, dice che non può; se vuole, ne dichiara l’urgenza. Quanto a noi, lo lasciamo fare – non per fiducia, bensì per spossamento. Insomma, c’è in circolo un senso di stanchezza, che ci impedisce anche d’affannarci sulle prossime elezioni. Perché dovremmo, se il vincitore è già annunciato? Sicché alle nostre latitudini regna la Gran bonaccia delle Antille, direbbe Calvino. Però, attenzione: alla bonaccia segue sempre una tempesta, diceva inoltre Esopo. La prossima non sarà un’emergenza sanitaria, né bellica, né finanziaria, né climatica. La prossima volta potrebbe sbatterci sul muso un’emergenza civile, un tumulto, una rivolta.

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