Decapitato ma non troppo: le omissioni dei media sul caso del prof ucciso a Parigi
Per ventiquattro ore Samuel Paty, il professore francese decapitato alla periferia di Parigi, è rimasto privo di identità. Alcuni giornali hanno in più messo al condizionale l’evento: un insegnante “sarebbe” stato decapitato… L’ondata di incredibile disinformazione è partita oltralpe dai media francesi che non sono riusciti ad andare oltre, per troppe ore, ai comunicati ufficiali. Il cosiddetto prestigioso “Le Monde” ha guidato imperturbabile questo drappello di giornalismo pressappochista.
Anche i giornali non francesi si sono adeguati in genere a questa curiosa situazione: per loro comunque, se vogliamo, c’è la scusante di non poter essere tempestivamente presenti sul posto dell’evento verificatosi dopo le 17 del pomeriggio, ora che rendeva difficile interventi diretti.
Il trattamento omissivo inoltre ha riguardato non solo l’identità della vittima ma anche l’istituto in cui insegnava. Come se una nebbia improvvisa fosse calata sull’orrenda scena maturata a pochi chilometri dal centro della ville lumière. Peraltro su Youtube è stato visibile per almeno sei ore dall’evento un video postato una settimana prima dal padre di un’alunna dell’insegnante, un video di protesta per la lezione con le vignette di Charlie Hebdo in cui il genitore faceva il nome di Samuel Paty e ne indicava perfino il numero telefonico. Il video nella serata è stato poi tolto ma per almeno sei ore era visibile. L’uomo è stato poi fermato dagli inquirenti.
Una trattazione così omissiva per un fatto così cruento e dai tanti risvolti, in un paese centrale del continente europeo come la Francia, è rara da trovare. Non ricordo precedenti, come ho anche commentato a caldo sui Facebook con un post “Decapitato ma non troppo”. Ma le note dolenti non sono finite.
Anche quando la fisionomia della vittima è stata acquisita non è finito il trattamento da serie B. Prendiamo la nostra stampa: il fatto è progressivamente scivolato via dai titoli di testa sui giornali online ed è andato a finire nella macedonia degli esteri. Eppure, come hanno mostrato poi alcune corrispondenze italiane, che sono nate di fronte alla scuola della vittima interessando gli studenti dell’istituto in cui insegnava, non sono mancate le correzioni di tiro sullo stesso evento che è all’origine del barbaro misfatto, la lezione sulla democrazia tenuta da Paty ai suoi ragazzi.
Abbiamo così appreso ad esempio che Paty non aveva fatto uscire gli alunni di fede musulmana ma li aveva solo invitati a farlo se avessero voluto secondo la loro volontà e che nessun ragazzo era uscito dalla classe. Particolare importante, anche se in ogni caso non rilevante dal punto di vista dell’omicidio, ma comunque utile per una comprensione degli avvenimenti nel loro complesso.
Anche per la strage del Bataclan si erano verificati aspetti omissivi preoccupanti, però non globali. Ricordo come una delle 130 vittime fosse stata ridotta alla definizione di “femme du policier”, moglie del poliziotto. Il poliziotto aveva un nome, lei no. Si chiamava invece Marie-Aimée Dalloz ed era la compagna di Thierry Hardouin.
È una delle ragioni che allora mi spinsero a creare su Facebook una pagina dedicata a quelle 130 vittime compresa la “femme du policier”, una pagina in cui a lungo ho raccolto le loro storie e i loro volti, ancora consultabile su Fb e dove man mano ho anche aggiunto altre vittime di analoghe stragi. Si chiama “Generazione Bataclan”, vi ho appena aggiunto la foto di Samuel Paty, 47 anni, un figlio, morto di cieca e oscura intolleranza come i centotrenta del Bataclan di Parigi.
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