Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 06:10
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Opinioni

Il caro bollette? Il problema è che siamo il Paese dei No (di G. Crosetto)

Immagine di copertina

Alla fine, dopo anni di bonaccia, sta arrivando la tempesta perfetta. E c’è un filo invisibile che lega la crisi energetica e il caro bollette con la crisi dei tassi e l’inflazione (e forse persino con il bonus 110% e il reddito di cittadinanza).

Ci sono dunque almeno due minacce che ci troviamo ad affrontare in queste ore, due nemici che marciano divisi, ma colpiscono uniti: un problema energetico ed uno economico. È una congiuntura inimmaginabile solo fino a poco tempo fa, un insieme di accadimenti negativi, tutti concentrati in uno spazio temporale brevissimo. Arrivano, per di più, a ridosso di uno tsunami sanitario che ha provato il mondo intero dal punto di vista economico ma anche psicologico.

L’immane fiume di aiuti di Stato che le nazioni hanno immesso nell’economia ha innescato un meccanismo inflattivo inaspettato, accompagnato da un’esplosione dei prezzi delle materie prime, da un aumento spropositato dei colli di bottiglia logistici del mondo, da una crescita a singhiozzo e, per finire, dall’esplosione dei prezzi dell’energia e dei prodotti energetici. Questi ultimi però, a differenza degli altri problemi, che hanno colpito sostanzialmente allo stesso modo tutto il mondo, hanno concentrato gli effetti negativi nelle nazioni che peggio si erano strutturate per aumentare e frazionare le fonti di produzione e di rifornimento energetico.

Ecco perché l’Italia, nel mondo e in Europa, è – ancora una volta – una delle nazioni più colpite. Non eludiamo il tema: paghiamo di più le nostre bollette perché da decenni siamo diventati la nazione dei tanti No: il No agli scavi e alle opere, il No alle trivelle, ma anche il No al nucleare, per esempio. Ma noi siamo anche quelli del No al carbone, del No al gas, del No al petrolio, del No al Tap, e – ovviamente – anche dei No ai rigassificatori (che in queste crisi ci servirebbero come il pane per poter immagazzinare scorte).

Ad essere sinceri fino in fondo, l’Italia è anche la nazione che ha detto il maggior numero di No (e che detiene i record del mondo nella tempistica con cui concede le autorizzazioni) anche alle rinnovabili: No a molti impianti solari, a impianti eolici e persino No ad impianti idroelettrici. Bisogna sapere che nel nostro Paese, fino ad oggi, centinaia di progetti che riguardavano “parchi” solari ed eolici o dighe, sono abortiti per intervento diretto delle sovrintendenze, per pareri negativi di assessorati vari o di comitati ad hoc.

Vi ricordate quanti comitati sono sorti contro le pale eoliche che sfregiano il paesaggio? Per non parlare poi dei termovalorizzatori. Voi direte: cosa c’entrano? Ebbene, anche quelli, ad esempio in Germania, producono energia per combustione. E l’elemento inquietante è che lo fanno con i nostri rifiuti, quelli che noi non riusciamo a smaltire: quindi noi paghiamo la Germania perché produca energia per se stessa con i nostri rifiuti e con i nostri soldi. Follia. Ma non ci siamo risparmiati nulla nemmeno sul versante esterno e cioè nell’incapacità di gestire a nostro vantaggio i rapporti con Stati produttori con cui nutrivamo rapporti buoni da secoli. Siamo riusciti a perdere la nostra influenza in Libia, rompere quasi ogni rapporto con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, siamo in conflitto diplomatico con l’Egitto e ora anche con la Nigeria.

Ci siamo messi nelle condizioni peggiori e ci troviamo a uno snodo drammatico: troppo tardi per correggere la via e avere effetti positivi nel breve ma con l’ineludibile necessità di abbassare il prezzo per non giocarci in pochi mesi una percentuale significativa di aziende, produzioni, lavoro e Pil.

Si può sicuramente aumentare la qualità produttiva di gas italiano, ma se vogliamo essere onesti dobbiamo sapere che ci vorranno anni, e che coprirà una parte minima delle nostre bollette. Le tempistiche, dunque, purtroppo non lasciano alternativa a un intervento chirurgico. Che si può fare solo utilizzando soldi pubblici. Quali? Ecco il modo in cui il tema energia si collega al dibattito politico, producendo un effetto domino su settori che non dovrebbero avere nessun collegamento con i nostri problemi di approvvigionamento. Forse potremo recuperare questi miliardi solo rivedendo il reddito di cittadinanza o rimodulando il bonus 110%.Qualunque capitolo di spesa (eccettuati quelli per la sopravvivenza della parte più povera della popolazione) è sacrificabile per evitare il collasso imminente del sistema produttivo. Qualunque. Se il Governo non volesse incidere su questi capitoli dovrebbe necessariamente ripiegare su uno scostamento di bilancio o su una rimodulazione al rialzo del Pnrr (ma l’Europa approverebbe?).

Certo, l’intervento va fatto, come dicevo, in modo chirurgico, cioè andando ad aiutare tutte quelle attività economiche per le quali l’incidenza dell’energia abbia un impatto sul conto economico in percentuale non irrilevante. Per capirci: un’azienda per cui la bolletta incide l’1% non ha bisogno di aiuto, ma quando l’incidenza inizia a superare il 7/8% servono interventi seri e quando arriva al 20/40/60 o più, occorre congelarne totalmente gli effetti. Parallelamente bisogna monetizzare la presa di coscienza degli italiani sul problema energia per fare in pochi mesi i passi che non abbiamo fatto in 30 anni: sulle autorizzazioni degli impianti di ogni tipo, sui rapporti internazionali, sul rafforzamento dell’Eni, dell’Enel, di Terna, della Snam e di tutte le aziende del settore.

E per quel che riguarda i due campioni nazionali – Eni ed Enel – magari facendoli rientrare (come accade in ogni Stato serio) nel solco delle scelte geostrategiche del loro azionista di riferimento (non asservendole alla sublimazione dell’ego del loro “capo”, come accade in una delle due). Servono capacità di discernimento, coraggio e tempestività ma serve anche la possibilità di tradurre le decisioni in atti.Questo Governo ha questa possibilità perché mai più un governo democratico potrà contare sul 95% del Parlamento, su una stampa tifosa, su un’opinione pubblica spaventata e bisognosa di scelte. A noi che osserviamo con paura non resta che giudicarli dai frutti delle loro scelte.
Continua a leggere sul settimanale The Post Internazionale-TPI: clicca qui

Ti potrebbe interessare
Opinioni / La nuova Internazionale della Destra (di Giulio Gambino)
Opinioni / Il martirio di Gaza tra allarme genocidio e pulizia etnica (di F. Bascone)
Opinioni / Come ti smonto le 5 obiezioni allo Ius Scholae (di S. Arduini)
Ti potrebbe interessare
Opinioni / La nuova Internazionale della Destra (di Giulio Gambino)
Opinioni / Il martirio di Gaza tra allarme genocidio e pulizia etnica (di F. Bascone)
Opinioni / Come ti smonto le 5 obiezioni allo Ius Scholae (di S. Arduini)
Opinioni / Il paradosso di X e perché i social non sono interscambiabili (di S. Mentana)
Opinioni / Perché il nucleare è necessario (di Stefano Monti)
Opinioni / Ma il futuro è solo delle rinnovabili (di Gianni Silvestrini)
Opinioni / Le sfide del nuovo nucleare (di Giulio Gambino)
Opinioni / È ora di combattere contro i nazionalismi che mettono in pericolo l’Europa (di N. Zingaretti)
Opinioni / La grande sfida di Trump all’Unione europea (di Ignazio Marino)
Opinioni / “L’astensionismo aiuta il potere ma noi, oggi, non abbiamo alternativa”: lettera a TPI