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Home » Opinioni

I populisti cavalcano il malessere delle persone, ma non hanno soluzioni. Ecco come fermarli (di N. Zingaretti)

Immagine di copertina

Grazie a tutte e tutti voi per il confronto di questo pomeriggio utilissimo per orientarci nella battaglia politico culturale dei prossimi mesi.

Comprendere i motivi di un così largo consenso alle forze nazionaliste e populiste in Europa è la premessa per costruire politiche di sviluppo nuove che fermino questo pericoloso trend invertendo le tendenze elettorali degli ultimi anni.

La Fondazione Demo, per volontà della segretaria Elly Schlein, è la nuova fondazione promossa dal Partito Democratico per affiancare all’impegno politico la ricerca e la costruzione di proposte.

Ma senza dilungarmi vado subito al tema e vorrei dire la mia su quello che credo sia la natura del populismo, i suoi rischi e cosa fare.

Io credo che la crescita, anche elettorale del populismo, l’affermazione di leadership nazionaliste e di destra non siano la causa delle difficoltà della democrazia ma siano il sintomo di un problema culturale e sociale che ha radici profonde.

Il rischio per le democrazie del mondo risiede non nei leader di destra, ma nell’insoddisfazione di milioni di cittadini, soprattutto cittadine e giovani per la loro condizione di vita, il loro benessere e l’incertezza del loro futuro.

Questo rende forti i populisti.

Tutte le democrazie sono forti quando includono e danno la speranza, che tutto, attraverso la partecipazione, può migliorare.
L’idea di progresso coincide con la parola democrazia intesa come solidarietà, inclusione quando questa inclusione è sostanziale e non formale.

Oggi per milioni di persone non sempre è cosi e per comprendere le radici della nuova forza del populismo dobbiamo indagare nella storia europea e mondiale degli ultimi decenni.

Li troviamo i motivi culturali, sociali ed economici che rendono chiari i motivi della crisi di oggi. Molti nodi sono venuti al pettine e io vorrei brevemente soffermarmi su alcuni che credo siano rilevanti.

1) In primo luogo un mutamento culturale che io credo abbia le radici alla fine degli anni 80. Nel 1987 Margareth Teacher con il suo discorso “la società non esiste” pose le basi di un rilancio delle teorie neoliberiste che per lungo tempo hanno dominato il mondo.

La futura leader mondiale dei conservatori disse una cosa chiara: la società, la comunità unita da vincoli solidaristici in realtà non esiste, è un invenzione delle teorie socialiste per opprimere la dignità e la libertà della persona. Il welfare è un costo che pesa come un macigno sui bilanci degli Stati. Come sappiamo secondo queste teorie bisogna prendersi cura gli uni degli altri, non attraverso politiche pubbliche degli Stati, ma attraverso la propensione volontaria orientata all’obbligo morale ad aiutarsi.

Da questa stagione in poi alla parola “libertà” non sono associate le parole “solidarietà e fraternità”.

Rapidamente nel sentire comune i principi di giustizia, uguaglianza e solidarietà vengono sostituiti con libertà, apertura e competitività.

La dimensione del “noi” per cambiare lascia il passo a “l’io” per proteggermi e provare ad affermarmi da solo. Gli effetti di questa cultura si sono diffusi e propagandati in tutto il mondo. Questo non ha mutato solo i rapporti di forza tra ricchi e poveri.

Il neoliberismo dunque è stato un progetto che non ha solo ridotto lo stato sociale, ma condizionando e indirizzando l’economia mondiale ha affermato nuovi modelli culturali e plasmato relazioni fondate sulla competizione che spesso diventa solitudine e ha marginalizzato valori come uguaglianza e solidarietà.

2) Accanto a questi radicali cambiamenti culturali il secondo motivo della forza dei populismi, è legato agli effetti sociali delle scelte economiche neoliberiste che hanno influenzato tutte le democrazie del mondo: meno spesa sociale, meno servizi pubblici, più precarietà del lavoro.

C’era l’idea che quel modello e meno spesa sociale potessero portare a una società migliore e invece ci hanno portato alla drammatica crisi del 2007/2008 . Dopo quel fallimento sono però rimaste le macerie e le ferite.

Scelte liberiste in politica economica e il rafforzamento dei processi di globalizzazione dell’economia hanno favorito la forza di giganti finanziari e produttori globali che non hanno bisogno degli Stati per esistere.

Il nuovo capitalismo finanziario anzi sembra essere sempre più infastidito dalle regole democratiche che vuole subordinare ai propri interessi.

Con la riduzione della forza della dello Stato nel condizionare e orientare lo sviluppo si riduce la forza della politica nazionale per incidere.

La politica ha sempre più solo gestito e non orientato i processi.

Nelle democrazie questi processi hanno creato nuove povertà, disuguaglianze e solitudini che creano malessere, disagio che poi quando non trova soluzioni si trasforma in rabbia.

La riduzione della sfera dei diritti e il crescere dell’esclusione sociale indebolisce la credibilità del principale prodotto della politica: la democrazia.

In un mondo sempre più stretto nella morsa dell’insicurezza economica e dell’incertezza sul futuro le paure e la voglia di riscatto , anche a causa di errori e nostre drammatiche sottovalutazioni, non si sono rivolte ai progressisti ma si è alzato il vento populista.

Crescono i movimenti e partiti politici che rassicurano il loro elettorato mostrandosi ostili all’eguaglianza sociale, all’accoglienza degli stranieri, ai diritti delle donne e delle minoranze sessuali, mettendo a rischio valori fondativi delle nostre democrazie.

Le forze populiste raccolgono il consenso cavalcando il malessere e la rabbia delle persone messe ai margini dalla globalizzazione o deluse nelle loro ambizioni di realizzarsi.

I nazionalismi propongono come ricetta contro la globalizzazione l’illusione della protezione locale. La ricerca del capro espiatorio, del nemico sostituisce la soluzione. Dobbiamo essere molto vigili e attenti.

Molti cittadini, anche a causa della propria condizione sociale, non premiano più chi “difende la democrazia” ma chi “li protegge” anche se solo con slogan.

La minaccia alle democrazie risiede dunque nell’alto livello e nei lunghi periodi di disuguaglianza, nella concentrazione di ricchezza favorita dall’economia globale, dalla condizione di solitudine di milioni di cittadini e nella sfiducia che questo produce nei confronti delle Istituzioni.

Per questo ho affermato che la vittoria dei populisti più che la causa rappresenta un sintomo della crisi delle democrazie in Europa.

Perché al massimo di malessere e insicurezza sociale generato dall’aumento delle diseguaglianze è corrisposto il picco degli effetti culturali ed economici de “La società non esiste”.

Quindi o non voto o voto un partito che mi dà illusione di protezione perché non credo più nella partecipazione come strumento per migliorare il futuro, ma mi sento solo e mi scaglio contro il presente, le Istituzioni, l’Europa, senza nutrire speranza.

Tutto perso dunque? Assolutamente no.

I populisti sono bravi e spregiudicati nel cavalcare i problemi che creano paura alle persone, ma quando governano quei problemi non sanno risolverli.

Qui c’è il nostro ruolo e la nostra missione per il rafforzamento della democrazia. E la nostra prima missione è rilanciare e ricostruire uno spazio di azione della politica in grado di incidere. Questa dimensione non può che essere l’Europa. Più unita e più forte.

Il paradosso, ma anche la nostra possibile forza è qui. I populisti mentono. Non hanno soluzioni. Se c’è una domanda sociale da affrontare, un sistema produttivo da rinnovare, un protagonismo internazionale da rilanciare l’unica possibilità che esiste per i cittadini europei è l’Europa.

Ma un Europa molto diversa: sociale, paritaria, democratica, sostenibile.

Solo questa Europa può proteggere le persone nella loro vita, può contribuire a mitigare i conflitti ridurre le guerre e avere un ruolo nel mantenimento della pace mondiale, può favorire il rilancio di uno sviluppo produttivo nuovo e sostenibile, nuovi equilibri nei tempi di vita.

Senza un Europa nuova, federale, saremmo destinati a un lungo drammatico declino.

Per questo è il tempo delle riforme europee. Per ricostruire una credibile speranza di cambiamento. Le regole che ci siamo dati sono state importanti per arrivare fino a qui ma rischiano di non garantire più il protagonismo futuro. Dove non c’è fiducia c’è rabbia che i populismi usano per creare odio. Serve un Europa diversa più forte e cereale che ricrei fiducia e trasformare la rabbia in speranza. Ma ho concluso.

Ragionare su quali riforme non è il nostro compito di oggi.

Tocca ai partiti. C’è un congresso in corso che ci deve aiutare ad andare avanti, con fiducia, nella direzione giusta. Serve sicuramente superare il diritto di veto, aumentare le risorse per le politiche comuni, dare più potere al Parlamento Europeo. Come fondazioni però potremo contribuire indagando sui processi inediti e le grandi trasformazioni epocali.

La ridistribuzione della ricchezza nel mondo con picchi di concentrazione mai visti prima, la ridistribuzione geografica con nuovi ceti medi nelle nuove economie e la loro scomparsa.

Le nuove forme di produzione e accumulazione di ricchezza grazie all’utilizzo dei social e la digitalizzazione del mondo e come l’intelligenza artificiale sia messa al servizio della persona e non al suo dominio. Ecco un nostro ruolo importante.

Affermare in questi nuovi processi la cultura progressista per la dignità e il benessere umano e contro nuove moderne schiavitù.

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