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Le 3 cose che non avremmo voluto vedere a Pontida

Immagine di copertina
Il leader della Lega, Matteo Salvini, al raduno di Pontida. Credit: Miguel MEDINA / AFP

Al raduno della Lega sono accaduti alcuni fatti che meritano qualche minuto di riflessione

Pontida: 3 cose che non avremmo voluto vedere nella festa della Lega

Siamo pieni di quelli che ci invitano a non esagerare con “l’allarme fascismo”. Sono gli stessi che si sforzano a misurare Matteo Salvini come un antipatico provocatore che banalmente eccita gli animi per raccattare qualche voto in più e che ci vorrebbero convincere di non prenderlo troppo sul serio. Sono quelli che prendono sotto gamba gli accadimenti mettendoli nel cassetto delle provocazioni o dei casi isolati e continuano a trattare la politica (e la foga che cova a Pontida) come pittoreschi episodi di cui fare simpatici video da inserire nella colonnina di destra delle curiosità.

Eppure a Pontida sono accaduti tre fatti che meritano qualche minuto di riflessione, almeno per la gravità del sentimento che li ha provocati al di là delle reali conseguenza. A Pontida è stato minacciato un videoreporter di Repubblica, Antonio Nasso, colpevole di avere posto domande troppo stringenti: questa idiosincrasia per qualsiasi forma di giornalismo che non sia semplice cameriere è qualcosa che ha a che fare con l’incapacità di sostenere le proprie opinioni e di battere quelle degli avversari politici.

Dentro c’è tutto il senso di impunità di chi vorrebbe essere universalmente riconosciuto dalla parte giusta senza essere in grado di comprendere le diverse posizioni. Non c’è nulla di simpatico nel trattare la stampa come nemico, anche se appartiene a un’altra sensibilità politica, e nel pretendere di essere raccontati come si vorrebbe. L’imposizione della propria visione del mondo e delle proprie idee attraverso la violenza e il dileggio è fascista. Appunto.

Poi c’è la vicenda delle offese rivolte a Gad Lerner che oggi alcuni illuminati commentatori di destra sminuiscono come la normale reazione a un’odiosa provocazione da parte del giornalista. In sostanza ci dicono che non si può andare a vedere un derby nella curva degli avversari con la maglietta sbagliata e che è normale attendere reazioni scomposte: peccato che la politica dovrebbe essere qualcosa di più di un semplice scontro tra tifoserie, che il lavoro di un giornalista sia proprio quello di osservare sul campo (tanto per rimanere nella metafora calcistica) e soprattutto che gli improperi rivolti a Lerner siano qualcosa che ha a che fare con la sua origine e la sua fede religiosa, nulla a che vedere con un’irresistibile antipatia.

Poi c’è la bambina esposta per propaganda. Insomma bisognerebbe coniare un nuovo termine: come si chiama quello che fomenta atteggiamenti fascisti? A ognuno la sua risposta.

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