Dalle polemiche su Grease ad “Amen e awoman”: le pericolose derive del politicamente corretto
Oggi, per questa Epifania, non avendo voglia di smontare ancora il mio bellissimo albero di Natale ho deciso di farmi un regalo: quello di riguardarmi GREASE. Vi rendete conto che ha più di 40 anni? Ed è ancora un bel signorotto che invecchia bene nonostante sia stato oggetto di varie speculazioni e teorie balzane. Addirittura c’è chi sostiene che la storia raccontata nel film sia tutto un sogno, prima del suicidio della pazzesca Olivia Newton John. (La macchina che sale verso il cielo nel finale sarebbe, in verità, lei che vola verso il Paradiso dopo la morte voluta). Pensate se fosse girato al giorno d’oggi. Probabilmente qualcuno penserebbe che Sandy si sia appena vaccinata in un luna park e stia inseguendo la migliore connessione 5G disponibile.
Il perché ho citato GREASE è (triste) cronaca di questi giorni. “Prestigiose” testate italiane si sono appassionate ad alcuni tweet inglesi (1-2) che avevano definito il film “misogino e razzista”, quando la notizia era al massimo apparsa in un trafiletto del Daily Mirror, che in Inghilterra ha più o meno la stessa credibilità degli occhiali a raggi X che pubblicizzava Cronaca Vera nei rampantissimi anni ’80.
È tornata poi alla ribalta un’altra grande (questa volta vera anche se non recentissima) crociata: quella della ragazza che smarrisce il cane, mette un annuncio sui social e viene inondata di insulti. E sapete perché? Perché il cane si chiama NEGRO. Nonostante lei spieghi che, nella sua lingua, NEGRO vuol dire semplicemente NERO (che era il colore del suo cane), un po’ come quando noi chiamiamo il nostro BLACK o NERONE (e devo dire che esiste pure la variante NERINA che, quella sì, meriterebbe una condanna per direttissima).
Ma questi sono stati sono l’incipit del vero caso di questo inizio 2021: (e no, non parlo delle ABISSINE della pasta la Molisana: quello è solo marketing vecchio, triste e fatto male) ma del deputato Emanuel Cleaver che ha voluto concludere il suo intervento alla camera dei deputati con la formula “AMEN.. and awoman”. Premetto che quando ho letto la notizia mi sono fatto una grassa risata, quando in verità ci sarebbe solo da piangere. Considerando che il suddetto deputato è pure un pastore protestante e quindi, grazie alla sua pratica quotidiana, dovrebbe ricordarsi che “AMEN” è una parola ebraica che significa più o meno “E così sia…”.
Ho citato questi vari esempi non a caso: per cercare di mettere in riga come la confusione regni sovrana. E per dire che queste derive sono solo pericolose. Per alcuni semplici motivi che vado ad elencarvi: tornando indietro di 50/60 anni è impossibile non imbattersi in uno stereotipo (davvero) vile ed offensivo nella storia del cinema. E quelle testimonianze sono lì a imperitura memoria per dire “eravamo lì e guarda come ci trattava la gente”. E parlo delle persone di colore, della comunità LGBT, delle donne. In quei momenti dovremmo sentire un po’ più di potere, perché so una piccola cosa in più su come ora siamo arrivati qui, sulle battaglie che abbiamo combattuto e vinto. E riscrivere il passato non è il modo di scrivere un futuro migliore. Per quello scappate a gambe levate da chi vuole coinvolgervi in queste crociate: fa solo del male a chi si occupa VERAMENTE di discriminazione, razzismo e sessismo.
Per riprendere un attimo il fil rouge del tema della pasta, vorrei ricordarvi il bell’epilogo di una vicenda di qualche anno fa: nel 2013 uno dei signori Barilla, in un’intervista, disse qualcosa del tipo “La nostra pasta è solo per la famiglia tradizionale. Se ai gay non sta bene che mangino un’altra pasta”. Fu preso straordinariamente sulla parola e nacque una vera rivolta con annesso (e giusto) boicottaggio. Sapete cosa è successo nei mesi successivi? Oltre alle classiche scuse di Guido Barilla, sono nati corsi contro le discriminazioni per i dipendenti, i benefit sono stati aggiunti anche alle famiglie delle persone transgender, sono stati coinvolti attivisti LGBT per le campagne: insomma, nemmeno due anni dopo, ha ottenuto un punteggio perfetto dalla Human Right Campaign, un’importante associazione per i diritti degli omosessuali che stila ogni anno il Corporate equality index, una graduatoria basata sulle politiche interne ed esterne aziendali in questo campo.
Alcuni noti analisti politici hanno detto che il successo di TRUMP alle elezioni 2016 sia stato proprio dovuto al “politicamente corretto” ormai sempre più imperante nella società americana. Non so se questo sia vero o meno, ma so che le nostre destre puntano anche qui (con successo, senza dubbio) a ridicolizzare certe crociate inutili. E quando arriverà quella che ci costringerà a cantare “Fratelli (e sorelle) d’Italia…” sapremo che la battaglia è persa. Fermiamoci prima, please.
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