L’ex senatore di Forza Italia Pittelli è stato nuovamente arrestato per mafia, ma la politica fa finta di non vedere
Il postino a casa Pittelli suona sempre due volte, solo che all’avvocato di Catanzaro, ex senatore di Forza Italia, il postino porta ordini di arresto. Già arrestato nel maxi processo Rinascita-Scott, accusato di essere il ponte tra la ‘ndrangheta, la massoneria e la politica (i magistrati lo definiscono senza troppi giri di parole “l’affarista massone dei boss della ‘ndrangheta calabrese che grazie a lui è riuscita a relazionarsi con i circuiti bancari, con le società straniere, con le università e con le istituzioni tutte”) l’ex Forza Italia (poi passato alla corte di Giorgia Meloni prima di finire nei guai) è ora uno dei 29 destinatari di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Vincenza Bellini su richiesta del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Gaetano Paci e dei sostituti della Dda Gianluca Gelso, Paola D’Ambrosio e Giorgio Panucci.
Anche in questo caso l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. Pittelli si trovava agli arresti domiciliari ed è stato ricondotto in carcere. In questo caso, i pm che hanno indagato indicano Pittelli come “uomo politico, professionista, faccendiere di riferimento avendo instaurato con la ‘ndrangheta uno stabile rapporto ‘sinallagmatico’, caratterizzato dalla perdurante e reciproca disponibilità”.
Secondo l’accusa Pittelli avrebbe garantito la sua generale disponibilità nei confronti del sodalizio a risolvere i più svariati problemi degli associati, sfruttando le enormi potenzialità derivanti dai rapporti del medesimo con importanti esponenti delle istituzioni e della pubblica amministrazione”. Secondo gli investigatori, infatti, l’ex senatore Pittelli aveva “illimitate possibilità di accesso a notizie riservate e a trattamenti di favore”. Per questo “veicolava informazioni all’interno e all’esterno del carcere tra i capi della cosca Piromalli detenuti in regime carcerario ai sensi dell’articolo 41 bis”. I boss che avrebbero usufruito del rapporto con Pittelli sono Giuseppe Piromalli detto “Facciazza” e il figlio Antonio Piromalli reggente della cosca.
Ma come accaduto anche tra le carte del processo Rinascita-Scott, ciò che colpisce è che Pittelli avrebbe addirittura avuto un ruolo «da “postino” per conto dei capi della cosca Piromalli, nella perizia balistica relativa all’omicidio del giudice Antonino Scopelliti», il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione ucciso il 9 agosto del 1991 in un agguato a Campo Calabro, nel reggino, mentre rientrava a casa a bordo della sua autovettura. In particolare, l’ex parlamentare, secondo l’accusa, avrebbe sottoposto all’attenzione di un indagato, ritenuto «soggetto di estrema fiducia» della famiglia mafiosa Piromalli di Gioia Tauro, «una missiva proveniente da Antonio Piromalli finalizzata a far risultare un pagamento tracciato e quietanzato per il consulente tecnico che avrebbe dovuto redigere la consulenza per conto di Giuseppe Piromalli detto “Facciazza” indagato quale mandante, in concorso con altri capi di cosche di ‘ndrangheta e di Cosa nostra siciliana, dell’omicidio del giudice Scopelliti facendosi portavoce delle esigenze della cosca». In sostanza, per la Dda reggina, avrebbe pianificato «un sistema al fine di eludere la tracciabilità del denaro necessario alle strategie difensive, proveniente da profitti criminali».
Al centro delle nuove indagini ci sarebbe Rocco Delfino, per anni socio e procuratore speciale della “Ecoservizi Srl”, una ditta di trattamento di rifiuti speciali di natura metallica con affari su tutto il territorio nazionale e internazionale. Rocco Delfino per anni è stato ritenuto uomo vicino alla cosca dei Molé mentre oggi appare collegato alla cosca Piromalli (“tutore” della cosca, secondo i magistrati) e avrebbe promosso un’associazione volta al traffico illecito di rifiuti mediante la gestione di aziende, come la “Mc Metalli srl” e la “Cm Servicemetalli srl”, fittiziamente intestate a soggetti terzi ma riconducibili alla diretta influenza e al dominio della sua famiglia.
Un’organizzazione di prestanome per riuscire ad operare sul mercato senza incappare in interdittive antimafia. Il tutto avveniva con il concorso attivo di uomini dell’Agenzia Nazionale dei beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata. TSono stati arrestati gli ex amministratori giudiziari Giuseppe Antonio Nucara e Alessio Alberto Gangemi che erano stati nominati dal Tribunale di Reggio e dall’Agenzia nazionale per gestire la “Delfino srl”.
Nell’ordinanza si legge che Giancarlo Pittelli “si adoperava anche per tentare di ‘intermediare’ con magistrati che dovevano trattare procedimenti di prevenzione nei confronti delle società del Delfino, quale il consigliere Marco Petrini (arrestato per corruzione dalla Procura Dda di Catanzaro), nonché procedimenti amministrativi al Consiglio di Stato, dinanzi al consigliere dottor Frattini, nella inconsapevolezza di quest’ultimo”.
E chissà intanto che ne pensa la sonnacchiosa città di Catanzaro, lì dove Pittelli in questi ultimi mesi è stato addirittura dipinto come un perseguitato dalla borghesia che fremeva per poter partecipare a una delle sue rinomate cene. E chissà se prima o poi la politica (Forza Italia e Fratelli d’Italia sono i partiti che hanno tenuto Pittelli sul palmo di mano) vorrà dirci come possa accadere che un avvocato che si prostituisce alle cosche possa essere scambiato per un valido dirigente politico. Anche perché, non so se l’avete notato, di mafia se ne parla poco, pochissimo, quasi niente.