Non dobbiamo più tacere: ecco perché la nostra Costituzione viene costantemente violata (di M. Ainis)
Perdere di vista l’orizzonte definito dai padri costituenti vuol dire svuotare di senso la Carta. È già accaduto in passato, ma stavolta nessuno reagisce
Nessuna Costituzione può mai venire realizzata per intero. È forse felice ogni cittadino americano? Eppure la Dichiarazione d’indipendenza del 1776 sancisce il diritto alla felicità, così come la Carta costituzionale italiana del 1947 declina i valori di libertà, d’eguaglianza, di solidarietà, mentre la vita stessa genera ogni giorno nuove restrizioni, nuove diseguaglianze, nuovi egoismi collettivi. Significa che ogni Costituzione è un trucco, una filastrocca di parole vuote? No, quei valori indicano una meta, una direzione al nostro vivere comune. Non promettono il paradiso in terra, però allontanano «l’inferno dei viventi» di cui parlò Calvino, nella chiusa delle Città invisibili. Sono, insomma, come l’orizzonte: puoi toccarlo solo con lo sguardo. Ma se smetti di guardarlo, se allenti la tensione che ti porta a coltivare quei valori, allora sì, stai tradendo la tua Costituzione, ne stai svuotando il senso.
Nella storia italiana è già accaduto, ma non senza reazioni. Negli anni Cinquanta del secolo scorso la Costituzione venne messa in frigorifero dalla Democrazia cristiana, però le ripetute denunce del Partito comunista – insieme all’impulso del presidente Gronchi, salutato da Piero Calamandrei come «viva vox constitutionis» – condussero, alla fine del decennio, all’istituzione della Consulta, oltre che del Csm. Negli anni Settanta la protesta contro la mancata attuazione della Carta fu un moto corale, e allora cominciò la stagione più felice della nostra storia costituzionale: vennero finalmente istituite le Regioni, insieme allo Statuto dei lavoratori, alla legge che ha permesso di celebrare i referendum, a quella sul divorzio, alla legge Basaglia che chiuse i manicomi, all’equo canone, alla riforma del diritto di famiglia, e poi quella penitenziaria, quella fiscale, quella sanitaria da cui nacquero le Usl, quella sulla parità di trattamento fra uomini e donne nel lavoro.
Adesso, tuttavia, il tradimento della Carta cade nel sopore collettivo. Prevale la rassegnazione, o forse l’ignoranza stessa del problema. Da qui il focus su cui s’incentra questo numero di TPI. E da qui i numeri della Costituzione violata. Tre, come l’articolo sul principio d’eguaglianza, mentre in Italia ricchi e poveri sono sempre più distanti. Nove, come l’articolo che tutela l’ambiente, quando viceversa infuria lo scempio del paesaggio, dall’Ilva al polo petrolchimico siracusano. Cinquantatre, come l’articolo sull’obbligo fiscale, mentre l’evasione rimane un male endemico del nostro Paese. Ottantuno, a proposito del pareggio di bilancio, mentre continuiamo a indebitarci a spese delle generazioni future. Trentanove e quarantanove, i due articoli sulla legge che non c’è: quella sui sindacati e quella sui partiti. Centoundici, l’articolo che garantirebbe la ragionevole durata del processo, mentre ogni giudizio s’allunga in tempi biblici. Settanta, l’articolo che assegna la funzione legislativa al Parlamento, ormai espropriato viceversa dal governo. Cinquantuno, dove s’afferma la parità di genere, smentita tuttavia dall’esperienza. Cinquantaquattro, su «disciplina e onore» nell’esercizio delle funzioni pubbliche, mentre assistiamo allo spettacolo delle transumanze parlamentari o della spartizione correntizia al Csm. Senza dire della guerra illegittima, del lavoro tradito, della privacy violata, del referendum truffato. È colpa dei politici, ma è colpa pure nostra: chi tace acconsente, e invece noi non dobbiamo più tacere.