Giornalismo “Usa & Getta”: perché non accettiamo lezioni di storia dalla stampa estera (di G. Gambino)
Non ce ne vogliano gli amanti dell’atlantismo, ma il fatto che il nostro Paese si sia ormai completamente arreso, anche culturalmente, all’influenza di Washington appare ancor più evidente nei momenti in cui la scena politica nazionale si trasforma, come avvenuto domenica 25 settembre con il voto in cui Giorgia Meloni ha trionfato. Gli occhi dei nostri alleati, Joe Biden in testa, erano da tempo puntati su questo importante evento elettorale, tanto che come abbiamo riportato la scorsa settimana Fratelli d’Italia era “attenzionato” da almeno due anni. Nulla di male. Così come è perfettamente legittimo che, insieme alla diplomazia a stelle e strisce, anche la stampa straniera (in primis quella americana) si occupi dell’Italia e dei suoi mutamenti politici.
Ciò che lascia perplessi è il peso eccessivo che la stampa italiana attribuisce agli editoriali e ai commenti post-voto dei colleghi stranieri. Autorevoli quanto volete ma senz’altro meno addentro le spesso incomprensibili logiche politiche di casa nostra. Così, all’indomani mattina dell’exploit della Meloni, a spoglio solo parzialmente completo i quotidiani e le riviste statunitensi avevano già compreso che cosa era accaduto nella loro colonia oltre oceano. “The Return Of Fascism in Italy” è il titolo di un pezzo uscito sull’importante e autorevole rivista The Atlantic.
Ora, con il permesso della stampa Usa, abbiamo storici e sociologi perfettamente in grado di stabilire da soli se in Italia sia tornato il fascismo. Non accettiamo lezioni di storia da un Paese straniero. Non accettiamo influenze politiche sull’esito del voto dalla stampa estera. E invece l’informazione italiana si trastulla felice, cornuta e mazziata, nel mito del giornalismo internazionale, con queste lezioncine morali “Usa & getta” rivolte ad un Paese a sovranità limitata che, qualsiasi cosa scelga al di fuori del recinto ritenuto potabile, il giorno dopo le elezioni si risveglia nell’abisso dell’ignoranza, rinforzando erroneamente così l’idea elitaria (e, questa sì, populista) del voto di becero e di protesta come unica spiegazione, senza tentare di comprendere davvero cosa abbia portato un elettore su quattro a votare Meloni. Un’analisi terribilmente superficiale.
Sia chiaro: il nostro giornale è fra i pochi che certo non ha lesinato duri attacchi alla Meloni per la sua visione della società e per i suoi rapporti ambigui. Ma chi e come criticare lo decidiamo da soli. Non ce lo facciamo certo dire da Washington. Oppure, se proprio se ne avverte il bisogno, vorremmo poter leggere – al pari degli editoriali Usa – anche quelli vietnamiti, bielorussi, messicani eccetera a seguito del voto. Il fatto è che siamo talmente privi di un’identità politica e culturale europea (Europeismo non significa Atlantismo) che tutto ciò che dice lo zio Sam oggi ha pari importanza di quanto dice Papa Francesco. E noi come pecore smarrite gli andiamo dietro. Credendoci pure (cosa ancor più grave). Non perché sia vero, ma perché ce lo dicono loro.