Anima e masochismo: se il Pd strizza l’occhio a chi ha devastato la sua stessa casa (di G. Gambino)
Alle elezioni politiche del 1948 in Italia c’erano due partiti di sinistra e quasi nessuno di destra. Alle prossime elezioni politiche, tra due mesi, ci saranno due partiti di destra e quasi nessuno di sinistra. Il che sorprende se si considera che mai come oggi sarebbe necessario uno schieramento politico in grado di essere vicino alle richieste degli ultimi, a cui la sinistra da sempre dichiara di essere vicina.
Esiste un vuoto che nessuno vuole o riesce a colmare: 13 milioni di italiani tra vecchi e nuovi poveri. Su una popolazione di 60 milioni. Vuol dire quasi un italiano su quattro. Eppure non c’è partito politico che a loro si rivolga, che riesca a instaurare un dialogo con gli sfruttati della gig economy. Com’è possibile?
Tutti gli scenari dei vari istituti demoscopici parlano chiaro: il centrodestra unito travolgerà il centrosinistra diviso. Se invece il centrosinistra si presentasse unito, tenendo conto di tutte le formazioni politiche di sinistra (anche le più radicali) potrebbe disinnescare la vittoria della destra che le consentirà di modificare la Costituzione.
Per questo lascia spiazzati che il Pd (indicato al 22%) abbia deciso di correre senza allearsi con il M5S (10%) e che anzi stia pensando di imbarcare partiti e partitini di centro, andando a pescare fra coloro che negli anni hanno picconato i dem. Calenda, Renzi, Di Maio (tutti con soglie di gradimento indicate al di sotto del 5%). Anima e masochismo, più che anima e cacciavite. Ora, poi, c’è pure il rischio di ritrovarsi a bordo tipi come la Gelmini, Brunetta e compagnia cantante.
Come può l’elettorato dem accettare tutto questo? Quale dignità consente loro di ingoiare, nel solo nome della realpolitik, personaggi che hanno devastato la loro stessa casa?
Divisi si perde, dunque. Ma se la sinistra ha già intrapreso la strada delle frammentazioni, della via solitaria, anziché la direzione della coesione all’insegna del pragmatismo elettorale, vien da pensare che il risultato politico che scaturirà dal voto del 25 settembre, agli occhi dei dirigenti, sia già scontato. E che in fin dei conti l’obiettivo primario non sia davvero battere le destre, visto che l’unico modo per farlo è proprio una santa e tecnica alleanza con tutti dentro.
La campagna dem è iniziata a suon di: «L’Italia scelga: o noi o la Meloni», agitando lo spettro del fascismo. E invocando questo fatto come unica prerogativa per scegliere l’alternativa – i progressisti democratici – alle urne. Stesso tragico errore – quello dell’appello al voto utile: cioè al nulla – che ciclicamente viene ripetuto come ricetta imprescindibile del programma dem da sciorinare ai propri elettori.
Fingendo di non capire che intestardirsi sul tenere fuori dall’alleanza i 5s, per aver iniziato il processo politico che ha portato alla fine del governo Draghi per mano anche di Lega e Forza Italia, porterà proprio alla Meloni.
Se la sfida è davvero fascio-populisti VS resto del mondo, perché non includere anche tutti gli altri nel calderone del campo largo?
C’è di più. L’inizio col botto dei dem in questa campagna elettorale rivela anche un programma ondivago sui temi che interessano gli elettori. Ad esempio: che ne sarà del salario minimo, del Rdc, dell’invio di armi all’Ucraina, solo per citare tre temi, con un’accozzaglia di nomi simili, che vanno da Speranza a Tabacci. Nessuno lo sa.
Non a caso, in mancanza di idee, per giorni è impazzato sulle chat degli addetti ai lavori il santino con il volto di Mario Draghi avvolto in una bandiera dem. Il titolo: «L’Italia è stata tradita. Noi la difendiamo. E tu?». Firmato Pd. Riecco quindi spuntare le due paroline magiche: Agenda Draghi. L’unica che oggi unisce (quasi) tutti pur non volendo dire nulla. Cosa contempla esattamente? Non è dato sapersi. E difatti l’elettorato è confuso. Da un lato c’è chi vede di buon occhio l’alleanza con il centro; dall’altro chi trova incomprensibile che non si sia dato seguito al patto giallo-rosso. Molti di più sono invece coloro che non riconoscono il Pd e che non voteranno per i dem in nessun caso.
In questi giorni il segretario dem Enrico Letta ha posto l’ambiente come uno dei pilastri del programma politico progressista, sostenendo che la transizione ecologica è stata affossata dalle destre. Ma come, viene da chiedersi: chi è che era al governo con Cingoballe?