Con questa classe dirigente il Pd non ha futuro (di L. Pacini)
Negli ultimi anni il partito si è limitato a rilanciare le battaglie sui diritti senza ottenere risultati. Mentre Lega e M5S portavano a casa Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Alle ultime politiche ha presentato proposte ambiziose, ma ora gli elettori si chiedono: “Perché non le avete fatte finora?”. Ecco perché per recuperare credibilità c’è un solo modo: gli attuali vertici dovrebbero farsi da parte, nessuno escluso
Il Partito Democratico ha finalmente deciso che il 19 febbraio svolgerà le elezioni primarie per l’elezione del nuovo segretario nazionale. Il PD avrà dunque un nuovo leader dopo cinque mesi dalle elezioni di settembre.
Le diverse fasi del congresso presentate nell’assemblea nazionale di qualche giorno fa spiegano il complicato e macchinoso sistema di voto, che prevede una consultazione prima tra gli iscritti e solo dopo la sfida delle primarie.
Prima di queste però c’è la fase “costituente”, con il tentativo di apertura ai non iscritti e alla società civile per portare partecipazione alle discussioni sui temi del PD del futuro.
Trattasi di dunque congresso rifondativo, come più volte annunciato dallo stesso Letta. Il tentativo di provare davvero a ricostruire una identità del PD, che sembra oggi molto poco chiara agli elettori e ai suoi stessi militanti e dirigenti.
Tutto molto bello. Peccato che alla base non sia stato chiesto nulla. Peccato da fine settembre siano passati due mesi e la data delle primarie arriva solo ora.
Peccato che in questi due mesi Enrico Letta, pur sonoramente sconfitto e dimissionario, abbia presenziato ancora su tv, giornali e riunioni dei parlamentari come se fosse ancora il leader, creando ulteriore danno d’immagine di sostanza al PD.
Lo dimostrano i sondaggi, lo spiegano i commenti sulla stampa. Ma niente. Enrico Letta è rimasto saldo al timone conducendo il PD a un congresso rifondativo, a cinque mesi dalle elezioni, e invocando manifestazioni contro la manovra.
Ma come può un leader sconfitto e sfiduciato governare l’opposizione nel Paese? Come può Letta invocare a suon di lettere sui giornali nazionali la partecipazione delle forse sociali e dei cittadini al congresso del PD? Con quale carisma? Con quale impulso?
Uno dei punti saldi del congresso del PD, che già candidati come Stefano Bonaccini hanno esplicitato, è il rinnovamento totale della classe dirigente. Tema su cui l’elettorato e la base del Partito si aspetta davvero un cambio di passo e un segnale chiaro.
Inspiegabilmente, dopo l’elezione nessuno dei dirigenti nazionali, Letta incluso, è riuscito a fare un passo indietro. Addirittura, sono state rinnovate le due capogruppo di Senato e Camera, senatrice Simona Malpezzi e onorevole Debora Serracchiani, una scelta che ha dello sconcertante e di cui è difficile capirne il motivo, se non il tentativo di sopire la “guerra” tra le correnti dei gruppi parlamentari. Una cosa tristissima.
Il presupposto fondamentale per questo congresso sarebbe dovuto essere solo uno: si facciano da parte TUTTI i vecchi dirigenti e sia la nuova generazione del PD a decidere la nuova linea politica e il nuovo leader. Perché questo è stato il segnale chiaro uscito a gran voce dalle urne.
Sì, perché se è vero che il PD ha fatto due grandi errori – uno strategico e uno comunicativo – in campagna elettorale, il vero dramma per il più grande partito del centro-sinistra italiano è stato quello della credibilità. La credibilità è l’elemento cruciale per poter condurre una campagna elettorale e conquistare dei voti.
Dopo quasi un decennio di governo è molto difficile rilanciare proposte coraggiose e importanti come quelle inserite nel programma del PD. La domanda, nella testa di un qualsiasi elettore, è suonata banale: “Perché in questi anni non avete fatto queste cose?”.
Ed è qui che si apre il cuore della vicenda che questo partito affronta in questi giorni e in queste ore. Il PD è stato tanti anni al governo, occupando importanti ruoli di potere istituzionale, muovendosi tra le più diverse coalizioni e maggioranze.
Ma cosa ha ottenuto di veramente significativo il Partito Democratico negli ultimi due governi, Conte II e Draghi? Quale legge, quale proposta, quale battaglia?
Il Partito Democratico si è limitato a rilanciare importanti sfide sui diritti civili come il DDL Zan e lo Ius Scholae, senza ottenerne approvazione, mentre Lega e M5S portavano a casa rispettivamente quota 100, Decreti Salvini, Reddito di Cittadinanza e taglio dei parlamentari.
Cosa ha fatto dunque il PD? Domanda più che legittima che in primis gli elettori storici e fedeli del centro-sinistra si sono posti. Il PD non può più aspirare al 40% dei consensi, ma deve puntare a tornare ad essere il punto di riferimento per il centro-sinistra, prima forza di opposizione, credibile e rinnovata.
Saprà sfruttare il congresso che si concluderà il 19 febbraio per fare tutto questo? Il nuovo o la nuova leader del PD saprà far passare una linea politica chiara e riconoscibile, scalfendo le correnti e superando la vecchia dirigenza? Diciamo che le premesse con cui si arriverà al 19 febbraio non sono purtroppo delle migliori, come detto in apertura.
Altro elemento a tratti sconvolgente è quello di aver scelto di convocare un congresso nazionale in contemporanea con le elezioni regionali di Lombardia, Lazio, Molise e Friuli-Venezia Giulia. Come se queste non esistessero. Sull’elezioni regionali vale la pena soffermarsi un momento.
Il mancato cambio immediato della dirigenza al Nazareno ha impedito di ragionare su scala nazionale per le alleanze a livello regionale. Si è lasciato dunque che il Pd lombardo e laziale risolvessero da soli i nodi attorno alla scelta dei rispettivi candidati presidenti e coalizioni regionali.
In Lombardia più che altrove si è fatta sentire la totale mancanza di una linea politica nazionale e assenza di una dirigenza con sufficiente spina dorsale per poter dettare la linea. Parlo del caso Letizia Moratti ovviamente.
L’Assessora e Vicepresidente di Attilio Fontana, con le sue dimissioni e candidatura autonoma, invece che spaccare e indebolire il centrodestra, come sarebbe stato più “normale”, è riuscita a colpire al cuore il centrosinistra lombardo. In primis con la scelta del Terzo Polo di sostenerla, in secundis con il logorante e lento dibattito tutto interno al PD sul sostenere o meno una possibile alleanza con l’ex ministra ed ex Sindaca di Milano.
Nonostante il PD Lombardia avesse fin da subito stabilito un chiaro NO a Moratti, parte minoritaria del Partito – ma evidentemente rumorosa – ha persistito nel voler tentare un’alleanza.
La candidatura di Pierfrancesco Majorino, saldo rappresentante del PD e del centrosinistra, ha definitivamente messo a tacere questa ipotesi, ma nel mentre quanti elettori di destra potenziali sostenitori della Moratti hanno cambiato idea su di lei dopo che è parsa così “vicina” al centrosinistra?
In Lombardia il centrosinistra, superata questa difficile fase, ha la possibilità di poter dare una prospettiva di cambio dopo 28 anni di governo di destra.
Se il PD della Lombardia e Majorino sapranno ridare una speranza al centrosinistra partendo dai loro territori, forse questa speranza arriverà anche a Roma e sarà travolgente per tutto il PD e il popolo di centrosinistra.
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