Pd, 5S e Campo Largo: la strada non porta a casa se la tua casa non sai qual è (di G. Gambino)
Riavvolgiamo il nastro. Alle elezioni in Sardegna la destra si impiccia, si auto-affossa e la sinistra fa il miracolo. O meglio: fa quello che dovrebbe fare la sinistra. Una candidata (Todde) espressione del sostegno congiunto di Pd e 5s torna finalmente a illuminare la strada di quegli italiani che sono a favore di un’Italia più giusta ed equa, progressista, civile e quindi nettamente contrari a chi mette il bastone fra le ruote alle donne che vogliono abortire, a chi manganella gli studenti, a chi ancora oggi si oppone al salario minimo.
Succede così che la Todde vince e tutti esultano. Trionfo. La sinistra è tornata. Ora può insidiare Giorgia e addirittura tornare a contare per davvero a Bruxelles come quell’ultima volta in cui da italiani portammo a casa 209 miliardi.
Ma attenzione perché è un film già visto. Non illudetevi. Tempo dieci giorni e infatti il sogno si rompe: l’occasione, attesa quanto temuta, si presenta con la tornata elettorale in Abruzzo, non certo il voto più significativo sul piano nazionale ma senz’altro un test politico rilevante.
La “spallata” lì non funziona, il presidente uscente di destra (Fdi) ha la meglio sul candidato del campo largo sostenuto da tutte le forze politiche del centro sinistra.
Concentratevi su quel “tutte”. Tutte significa dai Verdi fino a Renzi e Calenda. I quali, nel corso della campagna elettorale, un giorno sì e l’altro pure hanno passato il loro tempo a insultare i propri alleati politici, demolendo il progetto politico del campo largo a cui hanno scelto di aderire per sostenere un candidato trasversale.
Così, dal day-after del voto abruzzese in poi, su tutti i media, a campane unificate, il coro celebra la sconfitta definitiva del campo largo, pia illusione (a loro dire) di un’elezione come quella sarda frutto della fortuna e di una manciata di voti. Ignorando invece – in buona o malafede – la vera differenza tra il voto in Sardegna e quello in Abruzzo.
Nel primo caso, quello delle elezioni in Sardegna, una campagna intelligente, strategica e trasparente, condotta da una brava manager che si è fatta da sola, pagandosi in buona parte la sua stessa campagna elettorale, quindi indipendente, capace di criticare dall’interno e senza timore tanto i 5s quanto il Pd ma anche di mettere a fattor comune i valori condivisi da due elettorati alla ricerca da troppo tempo di un campo politico in grado di proporre una propria visione alternativa della società.
Nel secondo caso, quello delle elezioni in Abruzzo, una campagna frutto della peggior ammucchiata di sempre, che scontenta tutti e non accontenta nessuno fra gli elettori dei rispettivi schieramenti politici, anzi li allontana sempre più, viziata da fuochi e veti incrociati, degni delle peggior aspirazioni di leader e leaderini a vario titolo.
Il che ci porta alla verità più scontata che ci sia. Quella che ripetiamo da molto tempo ormai. Ma anche alla più difficile da digerire. Finché non ci sarà la presa d’atto di un progetto politico che definisce il campo, stretto o largo che sia, gli elettori fiuteranno sempre il tradimento dei valori in cui credono. È un tema di coraggio, di coerenza, di fiducia.