Orlando, il salario minimo e la lotta per la democrazia diretta
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Detesto la politica politicante perché salvo illuminate eccezioni i politici di professione, per lo meno dalla Seconda Repubblica ad oggi, sono compromessi che camminano. Quel che scrivo è quel che penso e quel che penso è frutto di ciò che ho visto con i miei occhi. Ho avuto la fortuna di rappresentare il Popolo italiano nella XVII legislatura. Ho frequentato i palazzi del potere per 5 anni. Sono luoghi di seduzione, di tentazione, di trasformazione.
Alla Camera dei Deputati si accede attraverso due grandi portoni che danno sul “Transatlantico”, un lungo corridoio che i dipendenti di Montecitorio chiamano “il corridoio dei passi perduti”. Si dice che chi lo percorre per troppi anni perda l’anima. Chissà, senz’altro in molti perdono il contatto con la realtà. E non è una questione di soldi, ma di agevolazioni, privilegi, comodità.
Alla Camera dei Deputati, soprattutto per chi ha pelo sullo stomaco, la vita è facile. Si lavora relativamente poco e lo stipendio arriva puntuale. La diaria è sovrabbondante e non va giustificata. L’assicurazione medica della Camera copre ogni genere di intervento e la si può estendere pagando una stupidaggine ai familiari. C’è un ambulatorio con personale specializzato in patologie cardiache dietro l’aula. Dal proprio scranno basta telefonare al medico di Montecitorio per ottenere immediatamente una ricetta che ti viene recapitata in busta chiusa. Non ti devi neppure alzare dalla sedia. C’è anche il fisioterapista a disposizione e si prenota facilmente. C’è chi fa fisioterapia tra un voto e l’altro.
Per non parlare degli spostamenti. La Camera paga ogni genere di viaggio. Viaggi istituzionali, viaggi di lavoro, viaggi di piacere. Ovviamente in prima classe. Se vuoi la seconda lo devi specificare come nei fast-food americani se non vuoi il menu super-size.
Finisci di votare presto un martedì e vuoi vedere la Juve in Champion’s League allo stadio? Basta una telefonata all’agenzia viaggi della Camera e il gioco è fatto. Non serve neppure la carta di credito. Non c’è da pagare nulla. Basta dire: “sono l’Onorevole tal de’ tali e vorrei il primo volo per Torino”. A quel punto non resta che prendere un taxi per Fiumicino la cui spesa rientra nella diaria. Tutto questo, ai più, piace. Tutto questo solletica palati, gonfia petti, ubriaca chi dovrebbe sentirsi onorato di servire il Popolo piuttosto che pretendere di essere chiamato “Onorevole”.
Ma l’Italia (ed in particolar modo il Parlamento) è piena di “culi che non hanno visto mai camicia”. I privilegio-dipendenti sono ovunque e l’unico modo per farli disintossicare è imporre per legge il limite dei mandati. La politica non è una professione. Lo è fare l’avvocato, il chirurgo, l’idraulico, l’agricoltore, il bancario, il cameriere. Non il parlamentare. Il problema è che fare il deputato è diventato un lavoro.
Giorgio Napolitano è in Parlamento dal 1953. L’anno della morte di Stalin. Casini, uno dei papabili per il Quirinale, è alla sua decima legislatura ed in 38 anni da parlamentare, oltre ad aver guadagnato milioni di euro di stipendio, ha maturato quasi 500.000 euro di Tfr. Emma Bonino di legislature ne ha fatte 13. Sette da deputata, due da senatrice e quattro da euro-deputata.
Il Ministro Orlando è un novizio al confronto ma credo abbia voglia di seguire le orme dei “mostri” sacri appena menzionati. Altrimenti non si spiegherebbero le sue maldestri dichiarazioni sul salario minimo. Orlando lo conosco poco. Ci avrò parlato sì e no un paio di volte. Ahimè ne ho registrato pavidità e incoerenza. Più o meno quel che hanno registrato gli italiani che lo hanno ascoltato in alcune sue pubbliche uscite.
Nel settembre del 2016, alla festa del Fatto Quotidiano, Orlando ebbe il coraggio di denunciare pubblicamente un caso di “estorsione” istituzionale che, purtroppo, non ebbe il fegato di fare quando veniva consumato. «La modifica, devo dire, passata abbastanza sotto silenzio, della Costituzione per quanto riguarda il tema dell’obbligo del pareggio di bilancio, non fu il frutto di una discussione nel Paese. Fu il frutto che a un certo punto la Banca centrale europea, più o meno, ora la brutalizzo, disse: “O mettete questa clausola nella vostra Costituzione o altrimenti chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alle fine del mese”. Io devo dire che è una delle scelte di cui mi vergogno di più». Parola del Ministro Orlando. Si sarà pure vergognato tuttavia si è accomodato anch’egli nel governo dell’assembramento presieduto da quel Mario Draghi che era a capo di quella BCE che Orlando descrisse come taglieggiatrice.
Non solo, Orlando governa insieme alla Lega nonostante poche settimane prima di giurare come ministro (insieme a ministri leghisti) escluse un governo con Salvini anche qualora fosse presieduto da Superman. O Draghi è meglio di Superman (cosa che escludo nonostante il 90% dei media sostenga tale tesi) o Orlando è pavido. O meglio, è interessato.
I professionisti della politica sono uomini, semplicemente uomini. Non li giudico nemmeno più. Prendo atto che abbiano interesse a difendere il posto di lavoro. E per costoro il posto di lavoro è il posto nel palazzo. E per difenderlo sono disposti al compromesso. Vi è chi fa compromessi con il crimine organizzato (basti pensare al voto di scambio politico-mafioso), chi con gli avversari politici, chi con i fondi finanziari, chi con i sindacati.
L’altro ieri Orlando ha detto: «l’introduzione del salario minimo indebolisce i lavoratori, non li rafforza». Scemenze. Tuttavia scemenze dette affinché qualcuno le ascoltasse. Chi? I sindacati. Ovvio. L’approvazione del salario minimo toglierebbe potere di contrattazione ai sindacati. Li priverebbe, dunque, di un’arma di “lotta”, un’arma politica, un’arma con la quale fare adepti, organizzare manifestazioni, farsi ricevere dai politici, un’arma mediatica, un’arma, per l’appunto, sindacale. Non tutti i sindacalisti, sia chiaro, pensano al proprio perimetro di potere. Vi sono fantastiche eccezioni. Ma vi sono politici nei sindacati. Anche politici futuri. Pensate, banalmente, a quanti sindacalisti sono finiti in parlamento. D’Antoni, Cofferati, Epifani (pace all’anima sua), Polverini, Durigon.
La politica serve ad alcuni sindacalisti per trovare un up-grade professionale ed i sindacati servono ai politici perché ancora garantiscono pacchetti di voti. Orlando, sono convinto, è favorevole all’introduzione del salario minimo ma ha pensato fosse più conveniente, per lui, strizzare l’occhio ai sindacati. Questo perché anch’egli pensa al suo orticello e senza voti niente Parlamento, niente diaria, niente mutui agevolati, niente poltrone da ministro, niente pensionamento anticipato, niente Telepass, niente fisioterapista, niente viaggi pagati. È umano anche se ci sono, grazie a Dio, uomini che proprio non riescono a sacrificare le proprie convinzioni sull’altare della convenienza.
Ad ogni modo inutile accusare e basta, meglio pensare alle soluzioni. La democrazia diretta lo è. Rafforzare gli strumenti decisionali dei cittadini significa ridurre lo spazio del compromesso per il politici. Quei politici che detestano i cittadini in marcia. Chi sono i principali detrattori del “popolo che decide”? I politici di professione. Sono loro ad accusare di populismo tutti quei cittadini che non si piegano al pensiero unico. Che si ostinano a non pensarla come lorsignori. Sono loro a storcere il naso se sono arrivate in pochi giorni centinaia di migliaia di firme per i referendum su cannabis ed eutanasia. Sono loro a tenere bloccata in Senato la legge sul referendum propositivo passata in prima lettura alla Camera. Sono loro a difendere spazi di potere anche grazie all’arma del compromesso. Tra l’altro, sempre più al ribasso.
Il salario minimo è un diritto. Chi se ne frega se indebolisce i sindacati. Far decidere il popolo è il perfezionamento democratico. Chi se ne frega se ciò possa mostrare quanto la Repubblica italiana sia partitocratica e non democratica. «Il potere logora chi non ce l’ha» disse Andreotti. Sicuramente fa genuflettere coloro che vorrebbero assaporarlo per decenni.