Con le Olimpiadi a Parigi scatta l’ora dell’impasse politica
Nel Parlamento francese si tratta per la nuova maggioranza. Ma la soluzione al rebus politico è rinviata a dopo i Giochi
I vincitori, si sa, si vedono al traguardo. E all’obiettivo del taglio del nastro delle Olimpiadi ci arriva proprio lui, Gabriel Attal, il primo ministro di Emmanuel Macron. Lo farà insieme al vero vincitore della partita di Francia 2024, il suo dante causa e presidente della Repubblica.
La scommessa di riuscire a portare il suo premier all’inaugurazione dei Giochi, l’aveva fatta Macron stesso, quando il 13 settembre del 2017 il Comitato Olimpico Internazionale aveva annunciato che Parigi sarebbe stata la sede della XXIII Olimpiade moderna. Scommessa su cui in molti non avrebbero puntato nemmeno un soldo bucato.
Infatti, si annunciavano già i venti di bufera che hanno soffiato lo scorso 8 giugno, alle elezioni europee. Elezioni in cui l’attuale inquilino dell’Eliseo ha preso uno schiaffone sonoro. Uno di quei ceffoni dai quali non ci si rialza, se non si ha un fisico da campione. Il Rassemblement National di Marine Le Pen ha raccolto quasi il voto di un francese su tre: il 31,37%, doppiando, di fatto, lo schieramento di Macron, che ha raccolto solo il 14,6 % dei voti.
Il giovane delfino della Le Pen, Jordan Bardella, era già pronto a logorare il vecchio leone, con tre anni di un’opposizione sfiancante per i macronisti. Ma Macron, con una velocità che ha sorpreso tutti, compreso il suo primo ministro e i più vicini tra i collaboratori, ha sciolto l’Assemblée National e indetto nuove elezioni politiche.
Diabolico
Dabbenaggine politica, insulsaggine prospettica, egolatria, megalomania, vocazione al suicidio: sulla stampa di destra sinistra e centro, si leggevano solo commenti negativi sul presidente francese. Il Paese che non ama la moderazione, che vive nel mito mai superato della Rivoluzione, dell’intransigenza, della ghigliottina come strumento ordinario di composizione delle crisi politiche, non ha colto il machiavellismo del mefistofelico presidente francese. Che ha costretto tutti a ballare al ritmo della sua musica: ha anticipato gli schieramenti non pronti, ha costretto la sinistra prima ad un’alleanza forzosa tra comunisti e socialisti e verdi, poi ad una desistenza, un barrage, come si dice oltralpe, innaturale. Innaturale, provvisorio e strategico, ma vincente per il presidente ragazzino.
Come già detto, Gabriel Attal, secondo i programmi di Macron, avrebbe dovuto essere il premier che inaugura i Giochi olimpici di Parigi 2024. E lo sarà. A dispetto di Bardella, di Mélenchon, delle sinistre con la puzza sotto al naso e delle destre grossier, a dispetto dei commentatori di mezza Europa.
Ma non solo: Attal sarà il trionfatore del medagliere olimpico anche a dispetto dello stesso Attal. Che non ha mai fatto mistero di non aver condiviso la strategia macroniana, di non essere neppure stato consultato preventivamente. Anzi, neppure informato, se non a decreto di scioglimento del Parlamento firmato. E sarà inquilino dell’Hôtel Matignon a dispetto delle sue stesse dimissioni.
Con singolare correttezza istituzionale, Attal ha presentato la sua lettera di addio all’indomani del verdetto che ha diviso la Francia in tre. Ma anche lì Macron non ha perso l’orizzonte: dimissioni rifiutate e premier incaricato per l’amministrazione ordinaria, che prevede, però, anche la gestione per niente ordinaria delle Olimpiadi.
Sedici giorni, dal 26 luglio all’11 agosto prossimi, che porteranno gli occhi del mondo su Parigi, la città che esattamente 100 anni dopo, ospita le competizioni olimpiche. Unica località a condividere con Londra il primato di aver organizzato per ben tre volte i giochi, da Charles Pierre de Frédy, barone di Coubertin, in poi.
Sedici giorni in cui, ancora, la Francia non avrà il suo nuovo governo, perché la frammentazione voluta da Richelieu-Macron, impedisce che qualsiasi coalizione raggiunga una maggioranza nell’Assemblea Nazionale.
E mentre il tempo giuoca a suo favore, il novello tessitore di trame di palazzo, ne ha ordito una nuova: è riuscito a far rieleggere alla guida del parlamento proprio Yaël Braun-Pivet, esponente di Ensemble pour la République (l’ex Renaissance). La Pivet è stata eletta contro il comunista André Chassaigne, con una sapiente opera di barrage (un’altra volta!) di centristi e Républicains.
Così Macron delinea, con sottile e inarrestabile cinismo, la sua nuova maggioranza, con l’idea guida di estromettere dal governo i movimenti più radicali. Di sinistra o destra che siano. Da Mélenchon a Bardella (sempre che il toy boy resista al suo posto, dopo le ire della Le Pen sconfitta).
Macron ha il disegno preciso di portarli fuori dal perimetro dell’agibilità politica e relegarli a un ruolo di mera testimonianza. Così come ha fatto con la costruzione sapiente delle Olimpiadi, in questi sette intensi anni di preparativi.
Rien ne va plus
Mentre all’Eliseo Macron tesse la sua tela, nello stadio allestito nei Giardini del Trocadéro, il giovane Attal riceverà l’ultimo degli undicimila tedofori che hanno attraversato la Francia, quello che darà luce al braciere olimpico. Ma la fiamma che illuminerà la ville lumière, la sua bellezza, la sicuramente impeccabile organizzazione dei Giochi più attesi al mondo, non potrà che dar luce anche alla crisi che la società d’oltralpe sta attraversando e che i recenti appuntamenti elettorali hanno delineato.
Sarah Hurtes, l’inviata del New York Times a Parigi, ha svelato come il governo Attal stia ripulendo la città da immagini che potrebbero, secondo il macronismo, ledere la grandeur della Francia. Così, i francesi stanno deportando in massa immigrati e clochard.
Via da Parigi, con la promessa di una casa e un lavoro e, invece, sottoposti loro malgrado alla sorte di finire a vivere in altre strade, solo più lontane, più sconosciute e non illuminate dai bagliori dei cinque cerchi. Migliaia di persone (de)portate a Lione, Marsiglia, Tolone, Orleans, espulse dai Giochi olimpici e dalla capitale e destinate a sedi a caso. Ovunque, purché non visibili alle telecamere che debbono riprendere solo glamour.
Sarà questa, forse, la fine del macronismo, quell’idea politica che ha portato al comando le élites urbane e che ha segnato la contrapposizione insanabile tra le città progressiste, colte, ricche, organizzate e scintillanti, da un lato e le periferie fisiche e morali di esclusi, immigrati, poveri, non istruiti e senza speranza, dall’altro.
In mezzo una piccola borghesia che scivola verso l’esclusione, con l’inceppamento, se non la scomparsa, di quell’ascensore sociale che aveva fatto della Francia una terra di speranza per molti.
Ma se il macronismo, anche dopo tanti successi di governo, segna il passo, non lo stesso si può dire per quest’uomo scaltro che si è garantito altri tre anni all’Eliseo all’insegna del divide et impera. Sebbene sia ragionevole pensare che Madame Le Pen tenterà per la quarta volta nel 2027, l’assalto alla Présidence de la République française, è altrettanto facile sospettare che la Francia non le perdonerà, imbrigliata com’è nel mito della Rivoluzione permanente, di essere in fondo troppo conciliante per vestire i panni della Marianna.
La Marsigliese suona, il tedoforo arriva, Parigi si illumina di splendore e la soluzione delle contraddizioni di questo grande Paese sono rimandate a dopo le Olimpiadi. Macron ha vinto senza vincere e les jeux sont faits, rien ne va plus.