La nuova Internazionale della Destra (di Giulio Gambino)
È capeggiata da Trump, spalleggiata da Milei e Meloni e suggellata da Musk, il cui pensiero si salda al neo-liberismo più sfrenato
Mentre il 2024 volge al termine dilaniato da due guerre di portata globale, sempre più frequenti fenomeni climatici estremi e una crescente instabilità sul piano sociale ed economico ovunque nel mondo, l’anno che ci apprestiamo a vivere si profila come un possibile punto di svolta nel panorama geopolitico globale.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca rende il 2025 un anno incerto caratterizzato da potenziali cambiamenti in grado di destabilizzare equilibri consolidati negli ultimi decenni.
Riuscirà il magnate e presidente Usa a risolvere i conflitti globali, dall’Ucraina al Gaza? La domanda, che si fanno un po’ tutti, è in realtà mal posta. Spesso si riflette sul fatto che con Trump al potere, durante il suo primo mandato da presidente, l’America non fosse così tanto in guerra quanto lo è oggi, con Biden e i democratici al potere.
Se guardiamo agli eventi che si compongono e che si scompongono ogni giorno dinanzi ai nostri occhi, come un valzer ballato con armonia, la realtà dei fatti ci si prospetta per quello che è.
Dimenticatevi l’unilateralismo o l’aspirazione di un mondo multipolare, nella CaosLandia di questi anni sta emergendo sempre più un bizzarro ma interessante fenomeno: l’Internazionale della Destra capeggiata da Trump, spalleggiata da Milei e Meloni, suggellata da Musk, il cui pensiero si salda al neo-liberismo più sfrenato.
Più che la Via Italiana (il manifesto Meloni ad Atreju) è la nuova Via Internazionale della Destra che mette insieme la protezione sociale con la tutela della proprietà, che promette meno tasse (ma accontenta solo i ricchi), che offre pensioni più alte. In sintesi: una Internazionale della Destra che ha rubato alla sinistra il proprio ruolo di forza federatrice, di protezione sociale ed economica dell’individuo, integrando tutto ciò con la protezione (o la paventata minaccia) dalle invasioni dei barbari (i quali mangiano cani e gatti).
Il caso più esemplificativo di tale direzione emerge dal caso controverso ma curioso del settimanale britannico The Economist: la rivista ha quest’anno accreditato, a cospetto del proscenio della stampa internazionale, il leader argentino Milei.
Un tempo snobbato e da taluni persino deriso, descritto come un eccentrico leader privo di reali ricette per salvare il proprio Paese, la rivista londinese accende un faro di luce (“Javier Milei has turned Argentina into a libertarian laboratory”; “Javier Milei, free-market revolutionary”) sul cosiddetto “miracolo Milei”; e questo a prescindere dalle ambiguità sull’appartenenza politica del presidente argentino.
L’elogio di Milei e il suo credito internazionale odierno derivano in larga parte dal fatto che lo studente ha fatto i compiti e ha perseguito un modello economico e sociale, da sempre nel Dna di The Economist, del free market neo-liberista.
Che miracolo non è, chiaramente, visto che Milei avrà anche ridotto l’inflazione ma l’economia argentina va male (il presidente ha tagliato del 30 per cento la spesa pubblica), la povertà dilaga e le diseguaglianze crescono enormemente.
L’uomo che vuole dare lezioni di liberismo all’Europa, applicando la sua motosega dei tagli sociali anche qui in casa nostra, se necessario invitandoci ad andare contro i burocrati che ostacolano il nostro progresso (gli stessi che spesso hanno tutelato il nostro mercato) in realtà non è affatto un leader a cui ispirarsi né uno statista in grado di risanare il proprio Paese, riscrivendo il patto sociale con il suo popolo.
Vale, in fin dei conti, lo stesso principio di Trump: si esalta il fatto che abbia vinto (ed è vero) con il consenso popolare, ma si dimentica che farà tutto fuorché gli interessi degli ultimi.
Il fenomeno interessante benché preoccupante da tenere d’occhio nel 2025 è perciò questa triangolazione emergente, da Milei a Trump, passando per Meloni. Con in testa Elon Musk, il “Leonardo Da Vinci contemporaneo” (Milei dixit).
Unica grande assente in questo nuovo dibattito: la sinistra. La quale perde perché è ancora vista come “sistema”. Quindi distante, traditrice, incapace di ascoltare e fare cose per le persone. La sinistra tradizionale, così radicata nel ceto medio riflessivo, non ha le capacità di inseguire sullo stesso terreno i Milei, i Trump, i Meloni, a meno che non decida di scrollarsi di dosso fantasmi e paure nel dire la verità, innanzitutto a se stessa.
Gli unici che erano riusciti in questa impresa in qualche modo e misura sono stati i 5 Stelle, al netto delle loro turbe e dei loro qualunquismi dirimenti, ma forse anch’essi sono risultati eccessivamente moderati.