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Nucleare? No, il futuro è solo delle rinnovabili

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Credit: AGF

Il nuovo nucleare non sfonderà perché non conviene a livello economico. Quando negli anni Trenta verrà lanciato sul mercato, l’elettricità sarà già fornita in larga parte da fotovoltaico ed eolico. Che costano sempre meno

Nel corso degli ultimi decenni si sono costruiti reattori nucleari di taglia progressivamente sempre più elevata, fino ad arrivare a 1.600 megawatt. Il motivo era chiaro: alzando la potenza delle centrali era possibile ridurre il costo per megawatt. Almeno, questo era l’auspicio, anche se i risultati degli impianti realizzati in Europa (Flamanville in Francia e Olkiluoto in Finlandia) e negli Stati Uniti (Vogtle, in Georgia) hanno visto tempi di realizzazione lunghissimi e costi elevatissimi con il fallimento delle società impegnate, Areva e Westinghouse. 

Stimato in 3 miliardi di euro nel 2004, l’Epr di Flamanville avrebbe dovuto entrare in servizio nel 2012 con un costo previsto di 3 miliardi di dollari, ma a seguito di vari problemi il costo, includendo gli oneri finanziari, è arrivato a 19 miliardi di dollari. 

Ci sono poi casi come quello della South Carolina Electric & Gas Co, che aveva speso quasi 10 miliardi di dollari per il progetto di due impianti a Summer, nella Carolina del Sud, prima di interrompere la loro costruzione nel 2017 in seguito al fallimento di Westinghouse. 

Non stupisce quindi il fatto che la percentuale di elettricità nucleare è in calo da una trentina di anni Dopo aver raggiunto una percentuale del 17% nel 1997, il suo contributo è ormai sotto il 10% della domanda mondiale. 

Può sembrare dunque strana la nuova enfasi sugli SMR, Small Nuclear Reactors. La motivazione fornita è che sarà possibile farli in fabbrica, come in una catena di montaggio, soluzione che potrebbe portare ad una riduzione dei costi. Il problema è che per ottenere questo risultato bisognerebbe costruire decine, centinaia di reattori. In sostanza, l’economicità di questi impianti si avrebbe solo con una catena di produzione alimentata da una domanda elevata. 

Il punto debole sta proprio qui. Ancora non abbiamo (e non avremo per una decina di anni) prototipi funzionanti per capire quali saranno i reali costi. E a quel punto, se i dati economici e di sicurezza risultassero interessanti, bisognerebbe che si innescasse una richiesta molto forte di queste mini-centrali. 

Anche se sono diverse decine i progetti in corso, al momento i primi sforzi non hanno dato segnali rassicuranti. Ne è un esempio lo SMR statunitense NuScale, l’unico ad avere ottenuto le autorizzazioni governative, che ha dovuto rinunciare a realizzare il primo impianto per lo Utah Associates Municipal Power System a causa del ritiro dei finanziatori per l’esplosione dei costi.

È seguito poi il fallimento della società statunitense Ultra Safe Nuclear Corporation, che stava sviluppando micro-reattori modulari da 1,5-5 megawatt. Analogo stop per la francese Nuward di Edf. 

Va detto che ci sono anche progetti che hanno raccolto molto interesse e notevoli risorse economiche, come Newcleo, che lavora su di un reattore di quarta generazione raffreddato al piombo liquido. 

In realtà, allargando l’orizzonte, i cinesi e i russi hanno costruito i primi SMR, anche se con costi 2- 3 volte superiori alle previsioni. 

Vi è poi la criticità dei tempi. Consideriamo ottimisticamente che i primi reattori possano essere costruiti e generare elettricità nella seconda parte del prossimo decennio, affrontando le problematiche riguardanti la ricerca dei siti, il consenso del pubblico, gli iter autorizzativi e la costruzione degli impianti. Ma a quel punto il contributo delle fonti rinnovabili oscillerà tra l’80% e il 100% di elettricità verde (la Danimarca punta a raggiungere questo risultato già nel 2030).

Parlando del contesto italiano vanno poi inserite anche le contraddizioni politiche. «Il nucleare in Italia non si farà mai più», ha dichiarato recentemente il vicepresidente della Camera, nonché esponente di peso di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli. 

Si aggiunge sul versante delle tempistiche l’improvvisa fame di energia determinata dalla corsa all’intelligenza artificiale che vedrà un’impennata della domanda nei prossimi 5-10 anni. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) il consumo di elettricità associato ai data center, alle criptovalute e all’intelligenza artificiale ha coperto il 2% della domanda complessiva nel 2022 e potrebbe raddoppiare entro il 2026, rendendola pari alla quantità di elettricità utilizzata dal Giappone. 

Questa criticità sarà problematica per società come Google che, a fronte di un obbiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2030, aveva visto un aumento delle emissioni di quasi il 50% rispetto al 2019. Ma buone notizie arrivano sul fronte delle rinnovabili con l’avvio della produzione di una centrale solare da 875 megawatt in Texas, realizzata in meno di due anni, che per due terzi servirà proprio Google. E tutta l’elettricità consumata da Amazon, compresi i suoi data center, è stata compensata con energia rinnovabile al 100% già nel 2023 con sette anni di anticipo rispetto al target del 2030 che la società si era data. Per finire, Meta ha stipulato contratti per ben 11.700 megawatt rinnovabili. 

C’è un chiaro elemento a vantaggio delle rinnovabili e riguarda la loro economicità. Parliamo infatti di tecnologie, in particolare il fotovoltaico, che anche secondo l’Iea non avranno rivali in termini di competitività con nuovi impianti fossili in larga parte del mondo. Pur considerando i costi dei sistemi di accumulo e di potenziamento delle reti, il futuro rimane infatti molto interessante per le rinnovabili. 

«La combinazione di solare fotovoltaico e batterie è oggi competitiva con le nuove centrali a carbone in India», afferma Fatih Birol direttore esecutivo dell’Agenzia. «E nei prossimi anni, sarà più economico del nuovo carbone in Cina e dell’energia elettrica alimentata a gas negli Stati Uniti. Le batterie stanno cambiando le regole del gioco davanti ai nostri occhi». 

Rimane però la preoccupazione che la corsa delle rinnovabili venga frenata dei governi (si vedano gli ostacoli che vengono frapposti in Italia con il Decreto Agricoltura e con la definizione delle aree idonee) proprio per garantire uno spazio futuro al nucleare. 

In realtà, alla fine saranno proprio l’economicità delle tecnologie e l’accettabilità sociale a definire i percorsi e gli spazi per le varie soluzioni. Basti considerare che, negli scenari “Net Zero 2050” elaborati dalla Iea, a livello mondiale la domanda elettrica verrebbe in larga parte soddisfatta dalle rinnovabili, mentre per il nucleare si ipotizza una quota attorno al 10%.

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