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Che normalità è quella a cui vogliamo tornare? (di S. Mentana)

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Credit: EPA/Jorge Nunez

Un brindisi tra amici e quattro chiacchiere a un tavolino di un piccolo bar, una stretta di mano per presentarsi a una persona nuova, un sincero abbraccio di saluto. Una lezione di gruppo in palestra, una sala cinematografica semivuota al pomeriggio, un coro alzato dai tifosi allo stadio per salutare l’ingresso in campo della propria squadra. Niente di insolito, niente che avesse bisogno d’essere definito, niente che fosse diverso da ciò che si poteva vedere ogni giorno in una qualsiasi città del globo. Niente di più distante da ciò che facciamo oggi, tanto che abbiamo sentito la necessità di attaccare su tutte queste semplici azioni l’etichetta di “normalità”.

Questa parola, dal significato scontato quanto arbitrario, non aveva nemmeno bisogno di essere pronunciata fino a prima della pandemia, ma da un anno a questa parte ci accompagna nella costruzione di una vita diversa e nella gestione di una via d’uscita: “ritorno alla normalità”, una “nuova normalità”. E mentre la campagna vaccinale, con tutti i suoi problemi, ci offre una prospettiva sulla fine della pandemia, ecco che tra speranza ed esasperazione la nostra mente accarezza il ritorno alle nostre consuetudini passate.

Tutti, oggi, rivogliono le proprie vecchie abitudini. Niente di spericolato o di esotico, anche semplicemente potersi fare due passi senza il tassativo limite delle 22, senza la mascherina sempre indossata o senza stare attenti a non toccare nessuno. O semplicemente avere la possibilità di lavorare, per chi è costretto a restare fermo da un anno. Ma rivolere indietro le nostre abitudini significa che tutto deve tornare come prima, in tutte le sue sfaccettature?

Quella normalità che tanto rivogliamo era tale perché era la nostra consuetudine. Ma non tutto quello che c’era prima andava accettato come la norma, e quando finalmente ci sarà un dopo non potremo tornare alle abitudini di prima come se nulla fosse accaduto, come se non stessimo contando i morti a milioni in tutto il pianeta. La normalità, per quanto ordinaria, non è per forza immutabile.

Rivogliamo tante delle nostre vecchie abitudini, sì. Rivogliamo magari la cena fuori e la birretta tra amici, rivogliamo la palestra e il cinema, ma un pendolare vuole trascorrere nuovamente ore di viaggio in un carro bestiame, sacrificando tempo e qualità della vita? Una persona che ha riscoperto il rapporto con la sua famiglia vuole relegarla nuovamente ai ritagli di tempo? Un dipendente vittima di mobbing, uno studente bullizzato, e che oggi studiano e lavorano da casa, vogliono davvero tornare a subire le vessazioni di prima? Era “normale” che subissero certi soprusi o dovessero fare certe rinunce? Forse per loro la normalità è quella che vivono oggi, in cui hanno ricevuto il dono del tempo e di uno spazio sicuro.

Non potremo far finta come esseri umani che nulla sia accaduto, e non potrà farlo neanche la politica. Un microscopico virus ha mostrato che non esistono tetti del tre per cento, patti di stabilità, MES e procedure d’infrazione in grado di prevedere tutto: sarebbe assurdo se finito tutto questo si tornerà a meccanismi simili, a un’Europa attentissima a controllare conti e dati al millesimo ma che solo negli ultimi dieci anni si è lasciata affondare in contropiede dalla crisi del debito sovrano, da quella dei migranti e oggi persino dalla pandemia. E che continuerà a cadere dal pero, se vorrà “tornare alla normalità” come se nulla fosse. Non sarebbe una nuova normalità, ma una falsa normalità.

Non saremo fuori dalla pandemia quando non morirà più nessuno per il coronavirus. Lo saremo anche quando avremo il coraggio di abbracciarci di nuovo, darci la mano e andare liberamente dove vogliamo. Lo saremo quando chi ha perso il lavoro, chi è rimasto abbandonato, potrà tornare a riprendere in mano la propria attività, si sentirà dire “non mi sono dimenticato di te”. Lo saremo quando avremo chiaro che dopo un cambiamento epocale come quello che stiamo vivendo il nostro modo di vivere andrà in gran parte ripensato. Ma se faremo finta che nulla sia accaduto, qualsiasi cosa verrà dopo la pandemia non potrà essere chiamata normalità.

Leggi anche: 1. Non siamo solo spettatori: i protagonisti della guerra al virus siamo noi 2. La più grande lezione del coronavirus? Farci riscoprire le nostre città 3. Produci, consuma, crepa. Liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero

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