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Non è questa la Repubblica pensata dai nostri padri costituenti

Immagine di copertina
Credit: Quirinale

Col referendum del 2 giugno 1946 nacque la nostra Carta. Ma dai beni comuni privatizzati all’Autonomia i suoi principi sono stati traditi. Solo rimettendo l’uomo al centro si può sperare in una rinascita

La festa della Repubblica è la festa della “nascita” della Repubblica, che avvenne con il referendum del 2 e 3 giugno 1946, con il quale gli italiani votarono in maggioranza per la repubblica e scelsero i componenti dell’Assemblea costituente, cui fu affidato il compito di redigere la nuova Costituzione, che avrebbe delineato la nuova forma di Stato.

È dunque della Costituzione, la quale ha delineato i profili essenziali del nostro “Stato comunità”, che è opportuno parlare in questa ricorrenza, considerato che la stessa Carta è sottoposta a continue critiche e a tentativi di aberranti modifiche, il cui effetto è soltanto la distruzione di un modello di Stato che davvero è un modello ineguagliabile per raggiungere «lo sviluppo della persona umana» e il «progresso materiale e spirituale della società». 

In proposito è innanzitutto da dire che il modello “comunitario” accolto in Costituzione proviene non da una norma fondamentale (la “grundnorm” di kelseniana memoria) liberamente posta dal legislatore, ma da principi fondamentali che preesistono alla Carta e che questa semplicemente «riconosce e garantisce».

Ed è importante sottolineare che si tratta degli stessi principi della rivoluzione francese: libertà, eguaglianza, fraternità, considerati, però, non come astrattamente posti dal legislatore borghese a favore della classe borghese, ma come l’espressione concreta di un’etica (l’etica repubblicana), nella quale assume un ruolo di primaria importanza il principio dell’eguaglianza economica e sociale. 

Purtroppo l’attuazione di questa grandiosa impostazione ha trovato un ostacolo, pressoché insormontabile, nel fatto che la mente degli studiosi – essendo rimasta ancorata all’idea borghese secondo la quale lo Stato è una “persona giuridica singola”, cioè un soggetto singolo, per il quale lo schema di appartenenza non può essere che quello della proprietà privata – ha incontrato notevoli ostacoli a rendersi conto che lo Stato comunità introdotto dalla nostra Costituzione, essendo un soggetto plurimo (tutti i cittadini), deve necessariamente avere come schema di appartenenza quello della “proprietà pubblica”, come chiaramente precisa l’articolo 42, secondo il quale «la proprietà è pubblica e privata».

E, a oscurare maggiormente la esatta comprensione di questo dato si è aggiunto anche il fatto che la proprietà privata dello Stato persona singola, sovente è stata definita “pubblica”, in virtù del carattere pubblico del soggetto proprietario.

Si tratta di un errore gravissimo, che ha portato all’oblio dell’importanza giuridica della proprietà pubblica, riuscendo a oscurare persino la classica distinzione tra res in commercio e res extra commercium, su cui si fonda l’economia di una comunità. 

Un altro strale velenoso contro l’attuazione della Costituzione è stato poi la riforma del Titolo V, la quale ha cancellato la tutela dell’interesse nazionale e di quello delle altre Regioni, completando il quadro con l’attribuzione alla competenza esclusiva delle Regioni di tutte le materie non elencate nell’articolo 117 comma 2 della Carta, nonché delle materie che divenissero oggetto della concessione delle autonomie differenziate. In tal modo, sostituendo alla Repubblica una “comunità regionalistica”, conflittuale e senza regole. 

Un altro colpo, questa volta, contro il sistema economico produttivo di stampo keynesiano sancito in Costituzione, è stato lanciato, nel 1992, da Mario Draghi, il quale ha invocato, a bordo del panfilo Britannia, di fronte a 100 delegati della City londinese, un aiuto che desse forza alla decisione politica di privatizzare il grande complesso industriale italiano, come richiesto dai mercati.

Il suo disegno è stato eseguito. E ora l’Italia non produce più, né ricchezza, né posti di lavoro, ed ha un debito di circa 3mila miliardi di euro. In questo stato di cose, purtroppo, non ha più senso celebrare la nascita della Repubblica italiana, ma, se ancora si sarà capaci di porre in primo piano il valore dell’uomo, si potrà ancora sperare in una rinascita della nostra Repubblica, secondo l’imperituro modello dei nostri Padri Costituenti.

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