Icona app
Leggi TPI direttamente dalla nostra app: facile, veloce e senza pubblicità
Installa
Banner abbonamento
Cerca
Ultimo aggiornamento ore 22:00
Immagine autore
Gambino
Immagine autore
Telese
Immagine autore
Mentana
Immagine autore
Revelli
Immagine autore
Stille
Immagine autore
Urbinati
Immagine autore
Dimassi
Immagine autore
Cavalli
Immagine autore
Antonellis
Immagine autore
Serafini
Immagine autore
Bocca
Immagine autore
Sabelli Fioretti
Immagine autore
Guida Bardi
Home » Opinioni

L’altra faccia dello sfruttamento: i migranti servono ad arricchire i paesi occidentali, dell’Africa non importa a nessuno

Immagine di copertina

Anche l’Africa ha il suo Che Guevara. È Thomas Sankara, Presidente del Burkina Faso dall’agosto dell’83 all’ottobre del 1987. Il 13 aprile scorso, trentaquattro anni dopo il suo assassinio, il tribunale militare di Ouagadougou, la capitale del Paese, ha chiesto il processo per l’ex-Presidente Blaise Compaorè accusato di attentato alla sicurezza dello Stato e concorso in omicidio.

La notizia ha avuto poco risalto in Italia. D’altro canto nel nostro Paese di Africa si parla poco o nulla sebbene il destino del continente nero sia così legato al nostro. Compaorè vive in esilio in Costa d’Avorio dal 2014 e difficilmente, in caso di condanna, verrà estradato in Burkina Faso.

Ciononostante il processo per l’assassinio di Sankara è un processo decisivo se non altro perché potrebbe far coincidere la verità processuale con quella storica. Tutti sanno che Compaorè, Presidente del Burkina Faso per quasi trent’anni, uomo rispettatissimo in occidente in quanto succube dell’occidente abbia fatto parte della congiura conclusasi con l’assassinio di Sankara. Vi sono addirittura due testimoni oculari che affermano che sia stato Compaorè in persona, tra l’altro compagno di rivoluzione di Sankara nonché suo grande amico, a premere il grilletto. Tutti sanno, altresì, che i mandanti furono altri.

Sankara prese posizioni nette. Rifiutò l’assistenzialismo finanziario occidentale reputandolo una moderna forma di colonizzazione. Denunciò il controllo francese dei principali asset del Paese. Si rifiutò di pagare il debito cosciente che un affronto del genere gli sarebbe potuto costare la vita.

Il 29 luglio del 1987 ad Addis Abeba, durante un vertice dell’Organizzazione dell’unità africana disse: «Il debito è ancora il neocolonialismo con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici. Anzi, dovremmo invece dire “assassini tecnici”. Sono loro che ci hanno proposto i canali di finanziamento dei finanziatori. Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per 50, 60 anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per 50 anni e più. Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso».

Chi oggi al mondo osa pronunciare parole simili? Quale politico ha il coraggio di menzionare il concetto di “schiavo finanziario”? Eppure la schiavitù finanziaria è attuale sia in Africa che in Europa, e lo sarà ancor di più senza un adeguato controllo “politico”, dunque popolare, della spesa del Recovery Fund.

Il discorso sul debito lo condusse alla morte. Sankara venne assassinato otto settimane dopo. L’Alto Volta, così si chiamava il Paese prima che Sankara lo ribattezzasse Burkina Faso (Terra degli uomini integri) era, parole sue “la quintessenza di tutte le disgrazie dei popoli”.

Un Paese dilaniato dai colpi distato, assetato dalla desertificazione, costretto alla monocoltura di cotone dalle imposizioni coloniali, con un tasso di alfabetizzazione del 2%, una mortalità infantile spaventosa, un’aspettativa di vita di poco più di 40 anni ed un medico ogni 50.000 abitanti. Sankara tagliò privilegi e stipendi pubblici e con quel denaro finanziò una serie di campagne di vaccinazione contro la poliomelite e la meningite.

I pochi denari nelle casse dello Stato li investì nella costruzione di pozzi riducendo la mortalità infantile (nell’Africa nera una delle principali cause di morte per i bambini sotto i 5 anni è la diarrea dovuta all’acqua contaminata), di case popolari, di centri di salute. Sankara iniziò a tessere una rete internazionale preoccupante per le cancellerie europee e per Washington. Incontrò

Fidel Castro, viaggiò a Mosca, si schierò apertamente contro l’apartheid in Sudafrica.

«Un assassino come Pieter Botha ha passeggiato tranquillamente nella bellissima Francia. Nella libera Francia. Ha potuto calpestare quel suolo con i suoi piedi sporchi. Quelli che gli hanno permesso questa possibilità ne dovranno rispondere alle loro coscienze per sempre». Parole sprezzanti che Sankara pronunciò in faccia a Mitterrand durante un incontro tra i due.

«L’Africa agli africani» soleva ripetere. E ancora: «consumate burkinabè». Non era un autarchico, credeva nelle Nazioni Unite, nelle relazioni internazionali, negli scambi commerciali. Allo stesso tempo credeva nella sovranità africana, una sovranità politica, economica, energetica, alimentare e produttiva.

«Dobbiamo far capire a tutti che i mercati in africa sono i mercati degli africani. Dobbiamo produrre in Africa. Trasformare le nostre materie prime in Africa e consumare in Africa. Dobbiamo produrre ciò di cui abbiamo bisogno e consumare ciò che produciamo. Siamo qui oggi per mostravi la nostra produzione di cotone tutto prodotto in Burkina, tessuto in Burkina, confezionato in Burkina, per vestire la nostra gente. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti con il nostro cotone, tessuto dai nostri compatrioti, non c’è un solo filo che proviene dall’Europa o dall’America» disse in uno dei suoi ultimi discorsi.

Mentre Sankara non voleva importare neppure un filo di cotone straniero in Burkina Faso, la sinistra al caviale nostrana insiste nulla necessità di importare manodopera africana in Italia.

«I nostri giovani sono pochi, dobbiamo accogliere più migranti», così si è espresso Enrico Letta, segretario del PD, la settimana scorsa. Questa di Letta è solo una delle innumerevoli argomentazioni avanzate dai fautori dell’accoglienza interessata per convincere la pubblica opinione della positività dei flussi migratori.

Nel 2016 Tito Boeri, ex-Presidente dell’INPS sosteneva: «Se chiudessimo le frontiere ai migranti non saremmo in grado di pagare le pensioni. Ogni anno gli stranieri versano otto miliardi di euro in contributi e ne prelevano tre. È vero, un giorno avranno la pensione pure loro, però molti torneranno al loro Paese d’origine. I loro versamenti saranno a fondo perduto». Ci arricchiscono insomma, perché questi poveracci lavorano, versano contributi, poi tornano in Africa e quel che hanno versato resta in Italia. Se affare si tratta non lo è certo per l’Africa.

Nel 2017 il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato una dossier dal titolo L’impatto della migrazione sui livelli di reddito delle economie avanzate nel quale si sostiene che un aumento dell’1% del numero di lavoratori immigrati corrisponde ad una crescita del 2% del Pil del paese che li accoglie. Insomma i migranti ci arricchiscono. Fanno lavori che non siamo più disposti a fare anche perché si accontentano di salari più bassi. Versano contributi a fondo perduto. Fanno crescere il nostro Pil e Dio solo lo sa quanto questo conti negli uffici tecnici di Bruxelles. I migranti coprono la domanda di manodopera. I migranti ci aiutano a crescere i nostri figli.

Tuttavia, come sostiene Maurizio Pallante nel libro Il diritto di non emigrare “se col loro lavoro gli immigrati fanno crescere il Pil dei Paesi ricchi in cui si trasferiscono, non contribuiscono a farlo crescere nei Paesi poveri in cui sono nati”. Logico no? Non per Letta evidentemente. L’accoglienza interessata altro non è che l’altra faccia dello sfruttamento. L’utilità dei migranti per le esigenze occidentali (in particolare quelle della grande industria) prende il posto dei diritti degli africani, in primis quello di prosperare a casa loro, di aumentare il Pil dei loro paesi, di lavorare per la crescita socio-economica delle loro comunità o di crescere i loro figli, non quelli degli altri.

L’accoglienza interessata non ha nulla a che vedere con la tanto sbandierata solidarietà. L’accoglienza interessata è puro imperialismo mascherato da magnanimità. L’accoglienza interessata interessa all’uomo bianco, eterno protagonista delle vicende africane.

L’uomo bianco toglie (ricchezze, risorse, democrazia, sovranità, indipendenza) e l’uomo bianco dà, o meglio finge di dare in quanto utilizza le fughe africane per il proprio sviluppo. L’Africa agli africani urlava Sankara. Obiettivo difficile se gli africani, in particolare coloro che sono nel pieno della loro capacità lavorativa, sono costretti a lasciare la loro terra. Le migrazioni contribuiscono ad aumentare gli squilibri sociali ed economici tra nord e sud del mondo. È evidente. Ed in tale senso le migrazioni si trasformano via via in una delle ragioni stesse per le quali gli africani sono costretti a fuggire. È un dannato circolo vizioso che nessuno in Europa immagina di spezzare. Nessuno ha il coraggio di investigare approfonditamente le ragioni che spingono milioni di cittadini ad abbandonare i loro paesi d’origine.

Ritenere che l’aumento dei flussi migratori sia un fenomeno positivo significa ignorare la storia. Anche quella italiana. Il divario socio-economico tra il sud ed il nord è aumentano o è diminuito con le migrazioni dei meridionali verso il settentrione più industrializzato? D’altro canto anche al nord serviva manodopera, anche al nord i “terroni” accettavano condizioni di vita peggiori, salari più bassi, tuguri dove vivere a dozzine.

Se Letta avesse detto “dobbiamo aumentare il numero di meridionali al nord perché al nord manca manodopera” probabilmente sarebbe finito nel tritacarne politico-mediatico. Ma ha parlato di migranti e la cosa ha destato meno scalpore.

Delle ragioni per le quali gli africani fuggono non sappiamo nulla. Nulla dei motivi per i quali si combattono le guerre. Nulla dello sfruttamento delle risorse, coltan in primis. Nulla dei colpi di Stato moderni, della penetrazione cinese, dell’arroganza occidentale. Nulla di nulla. Come nulla, probabilmente, si seppe in Europa della congiura a danno di Sankara quando questa veniva consumata.

Sankara minacciava lo strapotere della finanza, minacciava i trafficanti di armi, minacciava l’imperialismo monetario. Sankara aveva compreso che i nuovi schiavi sarebbero stati gli schiavi finanziari e che le catene della grande finanza, meno visibili ma non meno stringenti, sarebbe stato molto più difficile spezzarle una volta poste. Sankara chiedeva a gran voce una maggiore rappresentanza africana in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU denunciando la vergogna dei membri permanenti con diritto di veto.

«Proponiamo anche di rivedere tutta la struttura delle Nazioni Unite per porre fine allo scandalo costituito dal diritto di veto. È vero che certi effetti più diabolici del suo abuso sono stati controbilanciati dalla vigilanza di alcuni fra gli stati che detengono il veto. Tuttavia, nulla può giustificare un tale diritto, né le dimensioni di un paese né la sua ricchezza» disse al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite.

Settantasei anni dopo la fine della II guerra mondiale i cinque Paesi usciti vittoriosi (si fa per dire, la Francia venne umiliata) dal conflitto detengono un potere antidemocratico: quello di veto. Possono, di fatto, rendere nulla ogni decisione presa dal Consiglio stesso.

I due continenti più poveri del pianeta, Africa e America Latina, non hanno un solo Paese che goda di tale privilegio. In Europa (calcolando anche la Russia europea) vivono 750 milioni di persone. Ebbene hanno diritto di veto la Gran Bretagna, la Francia e, per l’appunto, la Russia. Il Nord America è abitato da 580 milioni di cittadini e gli Stati Uniti sono membro permanete. In Africa ci sono 1,4 miliardi di abitanti eppure nessuno stato africano può imporsi nel Consiglio di sicurezza. Altro che Nazioni Unite. Nazioni diseguali. Chi oggi osa prendere posizione pubblicamente contro questo scandalo?

Se Sankara fosse vivo verrebbe tacciato di populismo, di irresponsabilità. Verrebbe accusato di non capire la complessità della politica internazionale. Oppure, dato il suo totale sostegno alla causa palestinese, verrebbe silenziato.

«Parlo con indignazione a nome dei palestinesi, che un’umanità disumana ha scelto di sostituire con un altro popolo, solo ieri martirizzato» disse Sankara nel discorso del 1984. Ecco perché i leader di mezzo mondo, Letta in primis, si sono dimenticati dei diritti dei palestinesi. Per paura di essere “silenziati”. Eppure a furia di stare dalla parte dei più forti sarà la Storia a ridurli al silenzio.

Ti potrebbe interessare
Opinioni / Metamorfosi di atteggiamenti e posture politiche: la “nostra” destra non si smentisce mai
Opinioni / Come il “campo largo” ha strappato l’Umbria al centrodestra
Opinioni / L’alternativa all’oligarchia illiberale non è la paura ma la speranza
Ti potrebbe interessare
Opinioni / Metamorfosi di atteggiamenti e posture politiche: la “nostra” destra non si smentisce mai
Opinioni / Come il “campo largo” ha strappato l’Umbria al centrodestra
Opinioni / L’alternativa all’oligarchia illiberale non è la paura ma la speranza
Opinioni / Astensionismo record anche in Umbria ed Emilia-Romagna: così la democrazia diventa oligarchia
Esteri / Il trumpismo è un filo rosso che unisce “bifolchi” e miliardari
Esteri / Nemmeno a Trump conviene opporsi alla green economy
Opinioni / L'Europa ai tempi di Trump
Opinioni / Ma nella patria del bipartitismo non c’è spazio per i terzi incomodi (di S. Mentana)
Esteri / In Europa può rinascere dal basso un nuovo umanesimo contro la barbarie delle élites (di E. Basile)
Opinioni / Bruno Bottai: l'eloquenza del silenzio (di S. Gambino)